Adesso che la notizia di Joe Biden quarantaseiesimo presidente Usa è ufficiale, che il progressismo mondiale è tutto bello ringalluzzito ed è scattata la gara a liquidare Donald Trump come infelice sbandata dei tornanti della storia, adesso che è impopolare se non folle dirlo, ecco adesso lo dico: grazie a tutti, ma io resto trumpiano. Non solo perché considero probabile il riscatto della dinastia del tycoon, se non di lui in persona, ma perché sono grato come mai sono stato verso un inquilino della Casa Bianca.

Gli sono in particolare riconoscente per le tante «missioni di pace» evitate; per non aver più promosso «primavere arabe» né foraggiato tagliagole islamisti spacciandoli per «ribelli moderati»; per avermi fatto scoprire Amy Coney Barrett; per aver da una parte fatto crescere economicamente il suo Paese, specie con la crescita salariale degli svantaggiati, senza, dall’altra, far implodere valorialmente tutto il resto dell’Occidente con i valori arcobaleno, green e di tutte queste ideologie che hanno sempre bisogno di darsi un colore, forse per nascondere il fatto di non avere un’anima.

Certo, ha sbagliato eccome anche Trump, penso in particolare alla gestione della pandemia. Ma la differenza sostanziale è che di lui, oggi, posso commentare gli errori, mentre degli altri, ultimo Obama – ed ora vedremo Biden -, sono sempre stato costretto a contare gli orrori. Non mi pare poco. Per questo resto trumpiano, per difendere la memoria di una presidenza fuori dal coro, che pur non avendo mai vinto nei sondaggi ha conquistato un mandato e ha perso l’altro ai punti, dimostrando come il mondo che ora festeggia sia luccicante, antirazzista, ecologista, chic. Ma tremendamente bugiardo.

Giuliano Guzzo