Un elenco delle distorsioni della figura di san Francesco d’Assisi, di cui oggi ricorre la celebrazione, riempirebbe, da solo, un intero volume. Basti ricordare che se, da una parte, scrittori come Nikos Kazantzakis hanno letteralmente favoleggiato sull’amore giovanile tra Francesco e Chiara d’Assisi, dall’altra studiosi come Anton Rotzetter sono giunti non solo ad accostare il figlio di Pietro Bernardone a istanze femministe, ma pure a vergare frasi tipo «Francesco comprende se stesso come donna», facendone, così, quasi un’icona gender ante litteram. Grande, insomma, è la confusione sulla biografia dell’Assisiate, al punto che uno studioso come il medievista Franco Cardini ha osservato come nessuno, più di lui, sia «stato al tempo stesso più onorato e più tradito».

In effetti, le cattive interpretazioni sul santo di Assisi abbondano anche se, a ben vedere, tra i fraintendimenti sul suo messaggio, ve n’è uno più che più di altri ha avuto successo, vale a dire quello che secondo cui egli sarebbe stato, in sostanza, un mieloso pacifista. Una bufala tale che persino papa Bergoglio, in un’omelia tenuta nel 2013 proprio in omaggio al santo di cui porta il nome, ha sentito il bisogno di precisare: «La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”».

Una puntualizzazione, questa, dalla quale è francamente difficile dissentire anche perché non solo non abbiamo evidenze del presunto pacifismo del Serafico, ma vi sono dati storici inoppugnabili che mostrano come egli, riletto coi canoni dell’odierno politicamente corretto, passerebbe per intollerante e islamofobo. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’intolleranza, è sufficiente ricordare – come fa Guido Vignelli nel suo San Francesco Antimoderno (Fede&Cultura), dando la voce a chi conobbe Francesco – come alla predicazione dell’Assisiate «l’eresia ne rimaneva confusa, la fede della Chiesa ne usciva esaltata, i fedeli si abbandonavano ad un santo giubilo e gli ereti correvano nascondersi».

Che il francescanesimo autentico fosse ben poco ecumenico è altresì suffragato dal fatto che Gerardo da Modena e il beato Leone da Perego, i francescani che per primi svolsero il ruolo inquisitoriale, risultavano appartenenti al gruppo dei fedelissimi del Fondatore, col secondo dei due che si fece conoscere come «famoso predicatore e gran persecutore e vincitore degli eretici». Oltre a quella di intolleranza, si diceva poc’anzi, a san Francesco toccherebbe pure, oggi, la critica di islamofobia. Sì, perché anche se molti tutt’ora lo ignorano, il Serafico partecipò alle vituperate crociate, per la precisione alla quinta crociata, prendendovi parte non come pacificatore bensì come cappellano delle truppe cristiane; il che, a ben vedere, ne mette definitivamente in crisi l’icona pacifista. Ma c’è dell’altro.

Infatti, durante una pausa degli scontri, nel settembre 1219, avvenne un episodio assai significativo: Francesco d’Assisi, affiancato da fra’ Illuminato da Rieti, ebbe la temerarietà di presentarsi al cospetto di Malik al-Kāmil, il sultano d’Egitto, non già per avviare trattative o imbastire un fecondo dialogo né negoziare una tregua, come vi sarebbe da aspettarsi alla luce dello stereotipo del santo tramandatoci; no: l’Assisiate gli si rivolse col tentativo – plateale – di convertirlo e, ancora prima, di rivendicare le ragioni dei crociati.

«Gesù ha voluto insegnarci – furono infatti le parole del Poverello – che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo». Parole all’udire le quali non risulta, almeno stando alle fonti, il sultano si sia scomposto.

Accadde però che mentre san Francesco era alla sua corte, costui tentò di metterlo alla prova. Così il sultano, un giorno, fece stendere dinnanzi al Serafico un tappeto decorato di croci e chiedendogli di calpestarlo per venirgli incontro. Se il frate verrà – era il suo pensiero – calpesterà il suo credo, ma se egli non lo farà mi mancherà di rispetto. Ebbene, l’Assisiate stupì tutti andando incontro al monarca e così motivando la sua scelta: «Noi possediamo la vera croce del Signore e l’adoriamo, a voi invece sono state lasciare le croci dei due ladroni». Un’affermazione, ancora una volta, pesante e distante anni luce dall’icona del pacifista col saio.

L’avversione che il santo nutriva verso l’islam è suffragata pure dal fatto che arrivò a spedire dei frati in Marocco col preciso scopo di annunciare il cristianesimo e, si ricorda nel testo del già citato Vignelli, di «combattere la legge di Maometto». Tanto è vero che cinque di quegli eroici frati, nel gennaio 1220, furono arrestati, torturati e decapitati dal califfo di Marrakesh, nelle cui terre andavano predicando ai mussulmani che Maometto «guida su una strada falsa e menzognera che vi condurrà all’Inferno, dove ora viene eternamente tormentato insieme ai suoi seguaci». Una ennesima conferma di quanto politicamente scorrettissimo sia francescanesimo, quello vero. E ovviamente censurato.

[Questo articolo è stato pubblicato su La Verità, 4.10.2017, p.10]

Giuliano Guzzo