Nei giorni in cui in Italia il dibattito sul disegno di legge contro l’omotransfobia si fa più acceso, si sente parlare di «discriminazioni», di «violenze» da contrastare, di «minoranze», di «diritti», di «tutele», di «orientamento sessuale», eccetera. Molti temi, così, divengono oggetto di contesa tra laici e cattolici, conservatori e progressisti, riproducendo dualismi non nuovi nel nostro panorama politico e culturale. Solo un tema ci si faccia caso – vien lasciato da parte: l’omotransfobia. Praticamente nessuno ne parla, benché sia il pilastro su cui l’iniziativa legislativa si regge.

Omissione casuale? Non pare. Del resto, una definizione condivisa di omotransfobia manca. Con la conseguenza che tutti, a prescindere dalla nostra cultura giuridica, sappiamo in cosa consistano i reati, che so, di furto o di omicidio, ma è assai improbabile che due giuristi convergano sul significato di omotransfobia. È per esempio omotransfobico insegnare o predicare la differenza sessuale quale elemento naturale, affermando il diritto di ogni bambino ad un padre e una madre? È omotransfobica Arcilesbica, come denuncia parte del mondo arcobaleno, quando si scaglia contro l’utero in affitto e difende l’identità sessuale femminile?

Ancora. È omotransfobico disapprovare la condotta omosessuale, conformemente a quanto la morale cattolica non suggerisce ma impone a chi la condivide dai tempi in cui Berta filava? Costituisce omotransfobia rifiutarsi di impastare torte – come accaduto a più pasticcieri nel mondo angloamericano – per clienti desiderosi di festeggiare un pride o la Giornata mondiale contro l’omofobia? Ecco, il fatto che gli stessi proponenti della nuova legge non chiariscano questi dubbi non è grave: è angosciante. In uno Stato di diritto il cittadino deve infatti poter conoscere prima (e non dopo, magari dopo un processo…) cosa può o non può fare.

Beninteso: l’indeterminatezza dell’omotransfobia non comporterà che chi ha certe idee, da domani, marcirà in galera; comporterà però qualcosa di peggio: nel dubbio, molti terranno le loro per sé. In altre parole, il tema da giuridico diventerà sociale, con l’instaurarsi di un clima intimidatorio tale per cui il cattolico osservante o più banalmente chiunque non rigetti la prospettiva del diritto naturale diventerà ipso facto qualcuno di sospetto, passibile – ove, affermando i suoi precetti morali, eccedesse in enfasi – di querela. Il punto non è quindi tanto il reato d’opinione che comunque la nuova legge introdurrebbe; il punto è l’inverarsi di un regime. Arcobaleno, gaio, «tollerante», tutto quel che si vuole: ma pur sempre regime.

Giuliano Guzzo