Non vedo l’ora di abbandonarla, sia ben chiaro: ma intanto tocca ringraziarla. E tanto. Alludo alla mascherina, l’accessorio pandemico divenuto compagno di viaggio. So che ci sono esperti che ne sconsigliano l’uso, altri che invece la vedono diversamente. Da profano, ritengo la differenza sulla sua necessità la faccia sempre il contesto – l’isolamento all’aria aperta è un conto, i ritrovi per quanto contingentati in luoghi chiusi ne sono un altro – e comunque, nel dubbio, mi fiderei di Andrea Crisanti, il virologo che ha salvato il Veneto disobbedendo alle indicazioni Oms: «Se oggi si vedono meno casi meno gravi, ciò è esclusivamente dovuto ad una diminuzione della carica virale in gran parte dovuta all’uso delle mascherine».

Ma al di là della faccenda dei contagi (ammetto, forse in controtendenza, di non essermi laureato in medicina via Facebook in questo periodo), bisogna riconoscere che la pur antipatica mascherina un pregio l’ha: ci porta, quasi ci costringe a guardare negli occhi la persona che abbiamo davanti. Non succedeva da tempo, direi da qualche anno. Infatti, causa distrazione da smartphone, l’attenzione allo sguardo altrui era diventato esercizio per poche categorie: quella dei genitori con figli piccoli, quella degli innamorati veri e quella degli oculisti. Invece, in questo periodo, la svolta, con la riscoperta collettiva degli occhi come oasi di autenticità. Nella speranza di fissare la mascherina al chiodo quanto prima, anche questa è una lezione. Certo, per apprezzarla bisogna saperla vedere.

Giuliano Guzzo