L’errore di fondo consiste nel credere che l’Italia, l’Europa e il mondo siano stati bloccati dalla pandemia ed ora occorra ripartire. Sbagliato o, meglio, non del tutto vero, nel senso che, ben prima del lockdown governativo, s’era instaurato un lockdown spirituale – a base di individualismo e, in definitiva, disperazione – rispetto al quale il confinamento domestico non ne è stato che il completamento. Se infatti è vero che da settimane ci hanno impedito di andare a Messa per preservare la nostra salute (cosa non senza verità), è altrettanto indiscutibile che già da decenni avevamo smesso di andarci per preservare la nostra pigrizia (cosa con troppa verità).

Motivo per cui – senza sperare che ce lo chiedano Giuseppe Conte e Rocco Casalino – spetta a noi capire che, da domani, la ripartenza sarà cristiana o non sarà. Perché, scusate tanto, ma per spronarci a tornare a lavorare, produrre e consumare bastano e avanzano Kim Jong-un o un qualsiasi dittatoruncolo comunista. Invece qui non si tratta di tornare a lavorare, produrre e consumare: qui si tratta di tornare a vivere, di tornare a sperare; e se per qualcuno sperare significa attendere, che so, un nuovo summit europeo, si accomodi. Per me la faccenda resta molto diversa, con il suo alfa e il suo omega in quella fede messa fra parentesi la quale non ci può essere ripartenza per il semplice fatto che non c’è direzione.

Giuliano Guzzo