L’argomento preferito di quanti, da giorni, vogliono ridimensionare (se non minimizzare) la portata del coronavirus è quello del «eh, ma tu non sai quante persone muoiono ogni anno di influenza». Inutile dire, come pazientemente sottolinea sui social il mio amico Renzo Puccetti, medico e docente, che tale argomento è sia completamente falso – la mortalità dell’influenza stagionale in Italia (2018/2019) è di 2,53 decessi ogni 100.000 infetti, quella del coronavirus fuori dalla Cina, dov’è più bassa, è di 1.232 decessi ogni 100.000 infetti (dati Iss e Oms) – sia abbastanza ridicolo. Ridicolo lo aggiungo io, dal momento che liquidare il coronavirus con un «non è la peste» appare davvero un ragionamento poco serio, che offende anzitutto l’intelligenza di chi lo fa proprio.

Sarebbe come dire «eh, cosa vuoi che sia la guerra in Siria, mica è la Seconda guerra mondiale»; in effetti 430.000 vittime a fronte di 70 milioni sono decine di volte di meno: ma ciò rende forse il conflitto siriano una cosa bella? No, chiaro. Riducendo (fortunatamente) di molto i numeri, si capisce allora perché sia folle spacciare il coronavirus per un raffreddore un po’ più fastidioso. E comunque, se proprio si vuole giocarsi la carta del «ma tu non sai quante persone muoiono ogni anno di», non si deve pensare a un virus e neppure ad una malattia, bensì ad un «diritto»: l’aborto, che nel 2019 è costato la vita a 42.4 milioni di esseri umani e quest’anno già a 6,5 milioni. Qualcosa però mi dice che i leoni da tastiera questo dato si guardino bene dal ricordarlo, ma mica è colpa loro: sono affetti anch’essi, senza saperlo, da un virus letale. Il politicamente corretto.

Giuliano Guzzo

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