Comunque vada a finire, e naturalmente c’è da augurarsi che vada finire al meglio – anche se tre morti e oltre 150 contagi in poche ore non sono quello che si dice un buon inizio -, comunque vada a finire, dicevo, una cosa il coronavirus l’ha già insegnata o, meglio, ricordata. Siamo piccoli. Perché ora uno può essere terrorizzato o calmo, rassegnato oppure ottimista eppure nessuno – proprio nessuno – può affermare di aver la situazione davvero sotto controllo. Non i governanti, non i medici né, tanto meno, le persone comuni.
Sappiamo solo di avere uno sgradevole estraneo in casa, e stiamo con tutte le energie provando a isolarlo, ma nessuno può dire quando ci riusciremo. E a nulla valgono, in tal senso, le discettazioni sulla mortalità del virus che, anche fosse pure più bassa di quella d’un raffreddore – cosa che purtroppo non è -, in ogni caso non eliminerebbe un dato: quello di profonda incertezza. La stessa incertezza da cui poi cresce rapidamente la pianta della paura e, talvolta, del panico. Prendere atto di questo, sia ben chiaro, non significa alimentare nessun tipo di psicosi.
Vuol dire invece riscoprire una realtà che il coronavirus rende ora lampante minacciando la salute, ma che è ogni giorno sotto i nostri occhi: siamo piccoli. Siamo formiche. Certo, gli enormi traguardi medici e scientifici hanno migliorato di parecchio, solo negli ultimi decenni, la nostra condizione. Ma la nostra reale statura – anche se non è politicamente corretto ricordarlo – è rimasta lillipuziana. Basta un elemento minuscolo e invisibile, come appunto in virus, e siamo di colpo travolti da quella fragilità che facciamo di tutto per camuffare.
E pensare che l’uomo occidentale aveva già avuto – con l’11 settembre 2001, il maremoto dell’Oceano Indiano del 2004 e la crisi economica – varie occasioni per ricordarsi chi è e soprattutto chi non è, ossia Colui che controlla il corso degli eventi. Ma quelle occasioni, pur drammatiche, non sono bastate: dopo un po’, siamo tornati alle illusioni di prima. Ecco, sperando tutto rientri al più presto nella normalità, il coronavirus ci offre ora la possibilità di riscoprire la nostra vulnerabilità e la nostra finitudine quali antidoti al delirio prometeico 2.0. Facciamone tesoro.
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“antidoto al delirio prometeico”… Questa me la segno… Grazie Giuliano per il tuo servizio di pensiero.