Vittoria e trionfo sono forse sinonimi? No, ovviamente non lo sono. Perché tutti i trionfi sono indubbiamente anche vittorie, chiaro: ma non tutte le vittorie sono trionfali. Ve ne anche di risicate, di appena nette e di discutibili. Sono considerazioni perfino banali ma che, nelle ultime ore, sembrano dimenticate, con la conferma di Stefano Bonaccini al governo dell’Emilia Romagna elevata a trionfo leggendario, a cavalcata contro le Forze del Male capeggiate da Matteo Salvini.

Certo, Lucia Borgonzoni – che i sondaggi davano ad un soffio dal diretto rivale – è stata staccata di 8 punti percentuali, mica bruscolini. Certo, la spallata sovranista alla fine non c’è stata, anzi. Tutto vero. Ci sono però ineludibili dati di fatto che non solo inseriscono la vittoria di Bonaccini in un quadro meno roseo di quello tratteggiato dai media, ma la fanno apparire a tutti gli effetti qualcosa di ben diverso. Non fosse espressione troppo emotiva, si potrebbe parlare di scampato pericolo. Vediamo perché.

Tanto per cominciare c’è il principale partito di sinistra, il Pd, che dal 2014 al 2020 – in Emilia Romagna – è passato dal 44,5% al 34,5%; nello stesso arco temporale, la Lega è salita dal 19,4% al 32,1% e Fratelli d’Italia dall’1,9% è balzato all’8,7%. Ma al di là del dato numerico, ce n’è uno sostanziale: Stefano Bonaccini ha vinto le elezioni regionali facendo sparire il simbolo del Pd dai propri manifesti. Sottile vergogna o marketing? Probabilmente una cosa non esclude l’altra, e anziché brindare ad un trionfo immaginario in casa progressista farebbero bene a riflettere.

Considerazione numero due. Accanto alla credibilità che Bonaccini ha saputo accentrare su di sé, il centrosinistra emiliano romagnolo ha potuto contare su un grande alleato: le Sardine. Un movimento “spontaneo” che, a sua volta, ha beneficiato di una un’ovazione mediatica enorme, manco fosse Solidarność. Perfino Soros ha voluto benedirlo. Ebbene, le Sardine, ora è chiaro – lo stesso annuncio post elettorale della loro scomparsa dai radar televisivi lo prova – avevano uno scopo: seminare allarmismo nel caso di una vittoria del centrodestra. Missione compiuta.

Un terzo motivo per cui l’epica vittoria della sinistra in realtà non è affatto epica e neppure, in realtà, questa gran vittoria, consiste nel fatto – senza dimenticare il tonfo in Calabria, snobbata dai progressisti come estrema periferia italiana – che essa non solo non è stata schiacciante come altre volte, ma ha preso la forma di un duello già visto: quello tra gli aggregati urbani e le aree decentrate. Per ora, le zone cittadine e più popolate sono ancora a prevalenza progressista, lo si è visto. Già, ma domani? Che cosa succederà tra cinque anni?

Che accadrà quando le Sardine saranno un déjà vu, quando l’insoddisfazione che caratterizza – a ritmi crescenti – l’Emilia Romagna profonda sbarcherà in città e quando il benessere finora preservato nella regione non sarà più lo stesso? Basterà ancora invocare il magheggio del voto disgiunto, cantare Bella ciao e mostrificare il rivale politico? Sarà ancora sufficiente il tour televisivo del Santori di turno, osannato come un vate nonostante le supercazzole? Chi non se la sente di contrabbandare una tenuta per un trionfo, se lo starà già chiedendo. A tutti gli altri, basta il lambrusco.

Giuliano Guzzo