Pur avendo già incontrato fortissimi avversari sia nelle partite di pallone sia in quella della vita, probabilmente Mihajlović non aveva mai fatto i conticon loro, i «tolleranti». Quelli che in queste ore gli stanno rovesciando addosso un odio assurdo, senza rispetto non solo per la libertà di pensiero, questa sconosciuta, ma neppure per la malattia contro il quale il serbo, da tempo, sta eroicamente lottando. Un odio dovuto semplicemente al fatto che oggi Siniša ha fatto il solo «outing» non accettato in un mondo dove tutto pare accettabile: quello pro Salvini, giudicato «intelligente, capace e all’altezza di guidare il Paese» e pro Lucia Borgonzoni, la candidata alla presidenza dell’Emilia Romagna della quale il tecnico del Bologna ha improvvidamente detto «spero possa vincere».

Apriti cielo. In Rete sono subito fioccati, copiosi, gli insulti peggiori: «A volte le disgrazie uno se le merita», «curati, vai, che ne hai bisogno», «spero che non arrivi a domenica», «la chemio ha effetti collaterali, bisogna capirlo». Ci fermiamo qui, col vomito verbale, perché visitati da un dubbio: che cosa sarebbe successo a parti inverse, se cioè Mihajlović avesse appoggiato Bonaccini e fosse stato insultato brutalmente per questo? Da Mattarella alla Jebreal, da Lerner alla Boldrini, da Saviano alle Sardine, da Fazio a Floris, l’indignazione sarebbe totale. Invece, siccome il serbo sta con Salvini, allora l’odio va bene: nessuna pietà. Manco verso uno che sta lottando contro un male terribile. Un livello di bassezza mai raggiunto ma, si sa, al peggio non c’è mai fine e all’ideologia di sinistra neppure: e le due cose, quasi sempre, coincidono.

Dalla vicenda emerge un altro dilemma impossibile da ignorare: se tanto rancore va ad una figura come Mihajlović, che deve aspettarsi il cittadino comune che dichiarasse simpatie sovraniste al vicino di casa, al collega o all’amico? In altre parole, che razza di clima d’odio stanno creando i corifei dell’accoglienza? Sarebbe il caso che qualcuno iniziasse quanto meno a porsi il problema. Perché incensare lo straniero – purché non sovranista, ovvio – e randellare il compatriota, gradire il migrante e snobbare il residente, adorare il lontano e schifare il prossimo, di umano ha ben poco. Anzi, nulla. Eppure è esattamente in questo paradosso che il fronte progressista si è infilato da tempo, talvolta perfino con la benedizione di certo mondo cattolico. Non resta quindi che prenderne atto e – come ha fatto per tutta una carriera il buon Siniša – tirare un calcio all’odio, quello vero. Quello fatto di altruismo condizionato, della serie «vieni, fatti abbracciare se la pensi come me. Altrimenti crepa».

Giuliano Guzzo