Spero Claude Lévi-Strauss avesse torto. Perché se aveva ragione, quando asseriva che «la cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura», l’Italia non se la passa benissimo, ma la Chiesa se la passa peggio. E’ difatti venuta non ad un antropologo laico ma all’arcidiocesi di Bologna, guidata da monsignor Zuppi, l’idea di un «tortellino dell’accoglienza» – con carne di pollo per compiacere palati mussulmani – che, in realtà, altro non è che un tortellino codardo, relativista, perfino poco buono.

Perché se gustare i tortellini con la prospettiva della vita eterna, come insegnava un ben altro arcivescovo bolognese, monsignor Biffi, rende migliori pure i tortellini, prepararli con la prospettiva del quieto vivere rende tutto insipido. E certifica il collasso di una società e di un cristianesimo non solo incapaci di proporsi ma in fatale arretramento pure a tavola. Cosa che lascia pensare che la recente depenalizzazione del suicidio assistito della Consulta non sia casuale ma rispecchi l’indole d’una società già hamburgherizzata, quindi sushizzata in vista d’esser, domani, islamizzata. Ho paura che Claude Lévi-Strauss avesse visto lungo.

Giuliano Guzzo

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