A sentire i commenti di questi giorni, con il varo del governo Conte bis prima e con l’oscuramento sui socialdi pagine e profili di Casapound e Forza Nuova poi, si è inaugurata, almeno in Italia, una fase politica e culturale nuova: quella della chiusura della «stagione dell’odio». Una svolta salutata con giubilo dai giornaloni e dagli opinionisti à la page, corsi a benedirla con titoloni e commenti entusiasti. Ora, davanti a cotanta letizia la tentazione spontanea sarebbe quella di unirsi ai brindisi, non fosse che, a ben vedere, la cosiddetta chiusura della «stagione dell’odio» presenta una serie preoccupante di contraddizioni e punti oscuri sui quali pare qui doveroso, sia pure brevemente, soffermarsi.

La prima anomalia riguarda il perimetro del cambiamento politico avvenuto. Se infatti basta la mandare la Lega all’opposizione – censurando i profili social di partitelli dal seguito tutto fuorché oceanico -, per gridare allo scampato pericolo, significa solo una cosa: che l’odio tramontato, dopotutto, non era poi questo granché. Senza dimenticare che il superamento della «stagione dell’odio», più che sul disarcionamento sovranista, si basa su mancate elezioni che avrebbero con ogni probabilità decretato l’insuccesso elettorale, guarda caso, delle stesse forze che tirano ora un sospiro di sollievo. Se dunque questa è la stagione della distensione, il sospetto è che tale distensione sia anzitutto sulle poltrone.

Una seconda perplessità sulla celebrata fine della «stagione dell’odio» concerne la totale scarsità di riscontri al riguardo. Se infatti davvero si fosse chiuso un capitolo oscuro della storia repubblicana, dovrebbero oggi esservi abbondanti riscontri – anche statistici, s’intende – su un’impennata di gesti di violenza e aggressioni prodotti dall’odio declinante (altrimenti che odio sarebbe?). E invece niente. L’odio e la benevolenza, fino a prova contraria, sembrano per ora essersi alternati solo sui titoli di giornali e testate della cui equidistanza politica è lecito dubitare. Si rafforza così l’impressione che l’annuncio di una svolta epocale nel Paese sia solo volgare propaganda da parte degli autonominatisi «buoni».

Stranezza numero tre. Come si è detto, la supposta conclusione della «stagione dell’odio» coincide con l’avvento del governo Pd e M5S. Ebbene sì dà il caso che il Pd abbia tra i suoi esponenti di punta figure quali la senatrice Monica Cirinnà – ascesa agli onori delle cronache pure per essersi fatta immortalare sorridente con cartelli recanti scritte come «Dio-Patria-Famiglia, che vita di merda» – e l’onorevole Ivan Scalfarotto, già promotore di un ddl contro l’omofobia la cui entrata in vigore, a detta di più d’un giurista, minaccerebbe la libertà di espressione di quanti semplicemente ritengono il matrimonio questione esclusiva fra uomo e donna. Il M5S invece è noto per aver debuttato con un mai rinnegato «Vaffa day». Con simili premesse, sicuri che Pd e M5S siano credibili icone di benevolenza?

Un quarto aspetto che non torna concerne il rifiuto aprioristico e benpensante dell’odio. Ci spieghiamo meglio: l’odio tra persone è sempre negativo, forse più ancora per chi odia – ci permettiamo di osservare – che per chi è odiato. Tuttavia esistono pure forme di rifiuto se non di vero e proprio odio accettabili, forse perfino nobili, come quello verso la guerra, verso la droga, verso la tratta di esseri umani o verso la morte. Sovvengono qui le parole di Oriana Fallaci, che scrisse: «Io odio la Morte. L’aborro più della sofferenza, più della perfidia, della cretineria, di tutto ciò che rovina il miracolo e la gioia d’essere nati […] Eppure l’accetto. Mi inchino al suo potere illimitato e accesa da un cupo interesse la studio, la analizzo, la stuzzico» (Un Cappello pieno di Ciliege).

Quinta e ultima considerazione. Per quanto negativo – lo si è appena detto e, a scanso di equivoci, lo si ripete – l’odio è un sentimento che nasce nel cuore dell’uomo ed è al cuore dell’uomo che occorre parlare per spegnerlo. Come? Sforzandosi di offrire ragioni e testimonianze di segno opposto, non certo illudendosi che impedire agli elettori italiani di recarsi alle urne grazie a maggioranze parlamentari rabberciate e brancaleonesche possa servire a chissà cosa; né, tanto meno, applicando censure che, se alla luce delle regole dei social network possono apparire pure legittime, nei fatti finiscono per dare l’impressione dell’instaurarsi di una strisciante dittatura culturale – questa sì – davvero odiosa.

Giuliano Guzzo

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