Da ore la grancassa mediatica non fa che ripetere incessantemente il lieto annuncio, e cioè che con Christine Lagarde e Ursula von der Leyen abbiamo «due donne» al vertice dell’Europa. Devo essere proprio una brutta persona perché, di ora in ora, la mia risposta alla buona novella rimane la stessa: e allora? Da Eleonora d’Aquitania a Ildegarda di Bingen fino a Isabella di Castiglia, di donne davvero potenti l’Europa è già stata costellata, e proprio nella presunta oscurità del Medioevo. Dunque la notizia non c’è. Il problema è che forse non c’è manco il merito.

Infatti, a parte i sette figli nel curriculum Von der Leyen non mancano passaggi poco luminosi come la sua tesi di specializzazione – che su 62 pagine ne presenta ben 27 di «citazioni non sufficientemente indicate» – e l’uscita che fece nel 2014, quando la nazionale del suo Paese vinse i mondiali di calcio, un’uscita che in bocca a un ministro rende il Bar sport l’Accademia dei Lincei: «Ovunque si giochi, la Germania manderà personale pronto a sparare». La Lagarde, poi, non ha esperienza di politica monetaria ed è laureata in giurisprudenza anziché in economia, tanto che perfino Le Monde ha già scritto che si sentirà la mancanza di Draghi.

Qual è quindi il motivo per cui dovremmo festeggiare «due donne» al vertice dell’Europa, che danno la sola garanzia di essere falchi dell’austerità? E’ senz’altro un mio problema, un mio insuperabile deficit, ma proprio non arrivo a capirlo. Forse è meglio così, perché altrimenti finirei con il considerare un merito l’essere donna e una colpa l’essere uomo, sragionando come fanno già in troppi. Il solo auspicio che posso formulare, pensando in particolare alla Von der Leyen, è quindi che le donne tedesche siano più abili a guidare l’Ue e le sue manovre di come lo sono, almeno ultimamente, a fare altrettanto con le imbarcazioni.

Giuliano Guzzo

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