Una delle maggiori critiche mosse al Congresso delle famiglie da poco conclusosi a Verona è quella secondo cui la manifestazione sarebbe stata «di parte». Emblematiche, al riguardo, le parole di padre Antonio Spadaro, direttore La Civiltà Cattolica, che su Twitter ha tirato le orecchie agli organizzatori della kermesse affermando che «la cultura della #famiglia non può essere la parte strumentale di una “culture war”. È un errore di metodo e dunque finisce per esserlo di sostanza». Ebbene, vorrei spezzare una lancia a favore dei critici dell’evento scaligero ammettendo che sì, in effetti la tre giorni era «di parte». Certo che lo era. Il punto è che non poteva essere diversamente. Per un motivo semplice, e cioè che quella in corso da decenni – su più piani – non è una critica, ma una vera e propria lotta contro la famiglia.

Lo disse anni or sono san Giovanni Paolo II, quando parlò apertamente di «nemici di Dio» all’opera «attorno alla famiglia e alla vita» (Rio de Janeiro, 3.10.1997) e lo ha ripetuto, in tempi più recenti, anche papa Francesco, ricordando che «oggi c’è una guerra mondiale contro il matrimonio» (Tbilisi, 1.1.2016). In termini ancora più espliciti, suor Lucia dos Santos, una dei tre pastorelli di Fatima, aveva profetizzato che «lo scontro finale tra Dio e Satana» sarebbe stato non sul razzismo o sullo ius soli, bensì «su famiglia e vita». Rispetto a tutto ciò, i non credenti hanno ovviamente il diritto di essere scettici; i cattolici stessi possono legittimamente criticare il Congresso di Verona, ci mancherebbe. Quello che però non è corretto è negare che contro «famiglia e vita» sia in corso una guerra.

Urge ribadirlo affinché non si finisca, come Spadaro, a prendersela con una “culture war” della quale i cattolici non sono certo artefici, ma vittime. Andrebbe poi sfatato il mito secondo cui a minacciare la famiglia è l’assenza di politiche familiari degno di questo nome. Un’assenza la cui gravità nessuno nega, ovvio. Ma se pensiamo che il problema della famiglia e della denatalità sia una questione di quoziente familiare o di asili nido, siamo totalmente fuori strada. Su questo occorre essere chiari, perché ci sono settori importanti del mondo cattolico che non solo sembrano confondere il Vangelo con una raccolta di Baci Perugina, ma che negando l’evidenza invocano un confronto culturale semplicemente impossibile. O forse è auspicabile un dialogo con chi agita cartelli con scritto «Dio, patria e famiglia che vita di m***a» o con un sistema mediatico che non fa altro che straparlare di Medioevo?

E’ il caso di chiederselo nella consapevolezza che riconoscere che «oggi c’è una guerra mondiale contro il matrimonio» non significa odiare nessuno, ma solo prendere atto della realtà. Del resto, decenni di barzellette, demonizzazione mediatica, divorzismo spinto, accuse d’essere teatro delle peggiori ipocrisie e violenze – come se le «nuove famiglie» fossero tutte rose e fiori – sono lì a testimoniare come la famiglia sia al centro di una vera e propria cultura dell’odio (altro che “culture war”…) rispetto alla quale sicuramente la testimonianza della bellezza del matrimonio costituisce una risposta. Ma non può essere l’unica. Occorre anche che i pro family tornino a farsi sentire e a chiedere rispetto al mondo politico. A questo, in fondo, mirava il tredicesimo Congresso delle famiglie. Un «metodo» imperfetto? Può pure darsi. Ma è comunque stato un tentativo. E le battaglie si vincono tentando, non fingendo che non esistano.

Giuliano Guzzo