Per scongiurare il definitivo naufragio politico, in questi giorni la sinistra italiana ha deciso di rispolverare e porre al centro della sua agenda il tema ambientalista: Nicola Zingaretti ha dedicato la sua vittoria alle primarie a Greta Thunberg, la piccola che secondo i media starebbe facendo «tremare i potenti» (anche se, ovunque va, i potenti l’accolgono giubilanti), e nel Pd le nuove parole d’ordine sono «climate change» (pure la lingua italiana, ormai, è liquidata come fissazione sovranista). Servirà? Basterà la ritrovata attenzione alla lotta all’inquinamento a risollevare le non magnifiche sorti progressiste? Difficile.
Tanto per cominciare perché gli italiani non sono così scemi; dunque avranno già fiutato, in questa nuova primavera ambientalista, la disperazione di chi non sa più – politicamente, s’intende – che pesci pigliare. In secondo luogo, se è vero che secondo l’SWG coloro che nel nostro Paese si preoccupano per i cambiamenti climatici sono saliti dal 67% che erano nel 2011 all’81% attuali, è altrettanto vero che un conto è ritenere prioritario un tema, un altro ben diverso è elevarlo a decisivo per una preferenza elettorale. Ad ogni modo, terzo elemento da considerare, va ricordato come l’ambientalismo risulti già caro al Movimento 5 Stelle.
Attenzione, non so dicendo che Grillo e Di Maio siano ambientalisti provetti. Sto invece affermando che molti che con varie sfumature hanno a cuore il tema ambientale votano già loro: punto. E’ un fatto. L’ultima ragione per cui non basterà il «climate change» a ridare vigore a un centrosinistra traballante riguarda invece – per stare in tema – la stagione populista. Che, sotto molti aspetti, è appena iniziata. Chi dunque pensa di contrapporre all’amor patrio e all’importanza di sentirsi sicuri a casa propria l’urgenza della raccolta differenziata o della riduzione delle emissioni, gioca una partita già persa. E farebbe meglio a dare il buon esempio. Cambiando aria.