«Questo rischia la scomunica», mi scrive ironicamente un amico segnalandomi l’intervista alla Nazione di don Antonio Mandrelli, sacerdote di 73 anni, due lauree e due fucili, uno sovrapposto Franchi e una carabina Remington. Aveva pure una vecchia pistola, prima che gliela rubassero. Gli sono comunque rimaste due armi e la capacità di affrontare giornalisti che capiscono poco di fucili (nell’articolo è scritto «Remintor» anziché Remington) e ancora meno di giornalismo, dato che sono arrivati a fargli domande scontatissime del tipo: «A cosa le servono?». «Per legittima difesa», ha risposto l’anziano prete che così, oltre che di sommo anticonformismo, ha dato prova di somma pazienza. Ma poi, scusate, dov’è la notizia?

Cosa c’è di strano in un sacerdote, già derubato, che prova a cautelarsi? Dopodiché, ovvio, le armi possono non piacere. Personalmente non ne vado pazzo ma chi le fabbrica, protetto da sant’Adriano di Nicomedia, non va a priori criminalizzato, mentre chi le usa in caso di necessità e con la sola volontà di proteggersi o proteggere va addirittura ringraziato, perché ricorda la saggezza di san Tommaso, pure su questo autore di parole illuminanti (Summa theologiae, II-II, q. 64). Ovviamente tanti si sono già scagliati contro questo sacerdote perugino le cui posizioni, non si sa perché, sarebbero poco cristiane. Invece noi, nostalgici del prete guareschiano che imbracciava un moschetto Carcano Modello 91/38, dovremmo rallegrarci. Non c’è più don Camillo, ma ci è rimasto don Carabina.

Giuliano Guzzo