Oh no, pure qui. Dopo quello dello scorso anno a Castenaso, paese alle porte di Bologna, e quello allestito pochi giorni fa alla Casa della Carità di via Brambilla, a Milano, pure a Trento – evviva l’originalità – è approdato un presepe immigrazionista, con Giuseppe, Maria e il Bambinello su una zattera avvisata alla chiesa del Santissimo, in corso Tre Novembre. La strumentalizzazione è chiara ed è altrettanto chiaro che di immigrazione, ormai, sermoneggiano tutto l’anno le Ong, il sindaco di Riace, Baobab Experience, padre Zanotelli, Saviano, Emma Bonino, Laura Boldrini, Sergio Mattarella, Roberto Fico, Pamela Anderson, eccetera.
Invece di Gesù Bambino si parla solo adesso, quando ancora se ne parla: è troppo chiedere di tenere distinte le cose? Si deve sempre e comunque buttarla in politica? Dopotutto, il presepe è invenzione di san Francesco d’Assisi, che in tema di povertà era leggermente più credibile di chi oggi fa l’accogliente, sì, ma con i quartieri degli altri. Eppure manco il Poverello sentì il bisogno di fare del Natale un manifesto di accoglienza, sapendo che come segno d’Amore già basta e avanza: pretendiamo di saperne forse più di lui? Chiedo, sapendo che non avrò risposte. Poco male. L’unica Risposta di cui davvero ho bisogno m’arriva, in silenzio, dal mio presepino in legno.
Sono d’accordo con te!
Standoci davanti, rimanendo davanti all’umanità palpitante e concitata del presepe, mi sono riempito di stupore. Chi pescava per avere di che sfamare i propri figli. Chi lavorava il legno per ammobiliare la propria casa, chi suonava melodie per riempire di bellezza il proprio angolo di mondo. Ogni statuina rinvia ad un’aspirazione, ad un impiego. E in tutto questo affaccendarci, quel Bambino guardava. Tutto questo vortice indaffarato non è lontano dal nostro Dio che spiega la potenza del suo braccio. “Il tempo si è fatto breve” traduce così la Cei, ma letteralmente, san Paolo afferma che il tempo si è come raggomitolato, sotto lo sguardo di Dio: quel Bambino è venuto in mezzo alle nostre vicende, non è rimasto nell’alto dei Cieli, dove niente gli mancava. Mette la sua Carne in mezzo al mio arrancare, in mezzo ai miei sospiri e non si tira indietro, non mi lascia solo in mezzo al mio girare e frullare tra le carrube. Non mi lascia da solo con la mia pigrizia. Quel Bambino non molla: vuole la mia felicità. Ecco il tesoro che abbiamo tra le mani: il Dio con noi mette la sua Carne tra le mie mani. Questa è la buona Notizia. Quella zattera allora, che fastidio dà, Giuliano? Non è il tentativo di dire che nemmeno un passo, nemmeno un sussulto e un’aspirazione di felicità è lontana dal Bel Pastore? Perché lei si arrabbia con chi dice che la si vuol buttare in politica? Ma la politica non è il pensare e il prendersi a cuore della polis, di quella città in cui ci sta il pescatore che deve sfamare i propri figli, il musicista che porta quei cinque pani e due pesci della bellezza che ha nel cuore? E nella polis non c’è posto anche per le zattere? Oppure “non c’era posto per loro”?
È dal vescovo di Roma che viene identificato Gesù con gli immigrati. Falsa chiesa e falsi preti.
Faccio semplicemente notare che Giuseppe apparteneva alla famiglia di Davide e quindi la Giudea era la sua Patria e non una terra straniera e pertanto non era un “profugo”, ma semplicemente un cittadino che faceva ritorno al suo paese per il censimento. Che certi preti mistifichino i Vangeli è veramente delirante.
Ricordiamo anche il presepe 2017 in Piazza San Pietro a Roma, non una parrocchia sperduta. All’uopo aggiungo un link:
https://gloria.tv/article/2ViidYA7JHbW6i6Zn8g9Z43pB
I pastori dell’antica Palestina non erano persone ben viste dagli altri. Finivano per fare quel mestiere perché nessuno se li voleva trovare intorno, e così venivano confinati in ambienti un po’ distanti dal centro. Le zampogne, manco le conoscevano. Il vangelo fa a questo proposito una distinzione precisa fra pastori in quanto proprietari di greggi di pecore e pastori in quanto guardiani delle medesime. I primi erano persone cui nessuno si sarebbe vergognato di assomigliare: erano dei signori. I secondi, pagati per svolgere il loro lavoro, erano considerati poco meno che banditi. Il figlio di quel ricco signore che, dilapidate le sue sostanze, andò a fare il guardiano dei maiali era uno di loro. Forse anche un gradino sotto, perché le pecore erano socialmente accettate, mentre i maiali sono quanto di peggio un bravo israelita possa ancora immaginare. Ma era proprio il guardiano maleodorante il figlio che il padre aspettava. Quelli del presepio sono dunque guardiani a libro paga. E questo cambia in qualche modo tutto il quadro perché – se si sta alla sceneggiatura originaria – significa che le prime persone al mondo a sapere che era nato il bambino Gesù sono stati degli esclusi, degli emarginati, gente con cui nessuno avrebbe voluto avere a che fare. Che avessero maturato negli anni una coscienza sporchissima si capisce dal fatto che quando l’angelo si presenta loro facendo una luce che duemila lampeggianti della Polizia non sarebbero riusciti a eguagliare, quelli – dice il vangelo – «furono presi da grande spavento». Come se avessero pensato: ci hanno beccati un’altra volta. Tanto è vero che l’angelo si vede costretto a intervenire per rassicurarli: «Datevi una calmata ragazzi, non son qui per (ri)portarvi dentro. Al contrario: son venuto a dare a voi e a tutti una bellissima notizia: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».
Per avere un’idea di cosa successe a questo punto noi abbiamo un solo punto di riferimento: Bernadette Soubirous – pastorella anche lei. Quando la Bella Signora della grotta di Lourdes le disse chi era (Io sono l’Immacolata Concezione) quella ragazzina che sapeva solo dire il rosario prese una corsa da togliere il fiato per arrivare alla casa (distante dalla grotta un bel pezzo) del parroco e ripetergli (sbagliando anche) cosa le avesse detto la Madonna. Erano parole per lei incomprensibili, come fu successivamente appurato.
Una cosa simile potrebbe essere accaduta ai pastori guardiani. Della formula dell’angelo: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» capirono certamente che qualcosa doveva essere successo a Betlemme (la città di Davide), ma niente di più.
L’angelo venne loro in aiuto fornendo un elemento importante del puzzle: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Era già qualcosa. Poi – ma ne parleremo la prossima puntata – saltarono fuori tutti gli angeli del cielo cantando parole ancora meno comprensibili delle precedenti e quando finalmente se ne tornarono da dove erano spuntati, quei poveretti – è scritto nel vangelo: «dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”». Appunto: andiamo un po’ a vedere cos’è ‘sta cosa in cui l’Altissimo ci ha coinvolti (perché è noto che “conoscere” in ebraico antico significa “avere a che fare con”). Vedi mai che siamo diventati proprietari anche noi di qualche pecora.
Sì, andò così. Successe il finimondo quella notte: prima un angelo, poi centomila angeli, luci che giravano da tutte le parti, canti incomprensibili. Indicazioni da caccia al tesoro. Solo una cosa avevano capito: che dovevano andare a Betlemme perché era successo qualcosa che li riguardava. E in effetti ci andarono. E videro, anche. E noi, oggi, ci facciamo problemi per una zattera?
Quante cacchiate
Innanzitutto l’antica Palestina non è mai esistita. Esisteva Israele, o meglio, il regno di Giudea, regno peraltro fittizio in quanto era protettorato di Roma.
Finivano per fare quel mestiere perché nessuno se li voleva trovare intorno
Poi semmai è il contrario,nessuno se li voleva trovare intorno perchè facevano quel mestiere.
Il resto poi…
Grazie, dottor Guzzo.
Abbiamo parlato tra amici di queste questioni. Riporto le parole dell’Amico G.C., che frequenta il “Blog”, perché mi rappresenta più di quanto non sappia fare io, e me ne scuso:
“Si può parlare di questi argomenti in maniera non ideologica? Temo di no.
Il discorso rimane drammaticamente aperto, spesso nelle mani di chi non solo non vuole nemmeno tentare di dare una risposta ad un dato di fatto, ma agita la propria bandiera come una scimitarra. (…)
“Il problema non sono -gli altri-, i diversi, -la zattera-, ma la totale mancanza di identità dell’Europa e dell’intero Occidente”.
Buon Natale.
Maurizio
…ci facciamo problemi per una zattera?
Sì, ce li facciamo.
La nascita di Gesù è l’Avvenimento, un enorme fatto storico e come tale dev’essere ricordato dall’umanità nella grande ricorrenza cristiana del Natale. Tutte le ricostruzioni storico-critiche più o meno fantasione (e politicamente colorate) ispirate dalla lettura dei vangeli, le lascio volentieri ai salottini teologico-esegetici delle parrocchie, perchè, non aggiungendo assolutamente nulla all’Avvenimento in se, possono solo togliergli qualcosa, qualcosa però di sostanziale.
Accogliamo Gesù che nasce come il dono insperato di valore inestimabile, impossibile da ricambiare, “la prova delle prove” che Dio ci ama e intende salvarci. Non Lo accogliamo per motivi umanitari, nè mossi da un sentimento etico, come ci viene suggerito da certe “natività”.
Questo è il dramma dei presepi ispirati a temi sociali o a questioni d’attualità che generano visioni contrapposte sulla gestione della “polis”: riescono a creare una cortina fumogena intorno all’enorme mistero dell’Incarnazione per celebrare altro, qualcosa di meno, molto meno. Praticamente riescono a sostituire un grande mistero divino con un piccolo banale idolo.
L’ha ribloggato su Betania's Bar.
Purtroppo, come più volte ho detto, l’onesta intellettuale è merce rara.
Mi limito a dire una cosa, peraltro detta da un prete giorni fa, ovviamente attaccato da tutto questo circolo pseudo-cattolico (che cattolico non è) che tenta di far credere di non aver capito a cosa si allude parlando del presepe e della contraddizione tra fastidio (se non odio) verso i migranti ed il presepe stesso:
la famiglia di Gesù si salvò dalla strage degli innocenti di Erode scappando in Egitto. Se in Egitto ci fosse stata la legge Salvini sarebbero stati respinti alla frontiera e Gesù sarebbe morto come figlio maschio primogenito. Questi sono i fatti.
Peraltro la fede cattolica si è sparsa nel mondo tramite la migrazione da regioni più povere a regioni più ricche. Ed anche questo è un fatto.
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L’ho detto più volte : Si può essere contro ogni forma di migrazione, o ogni forma di accoglienza, anche in modo accanito.
Non si può però far finta che questo sia in linea col Vangelo e col Catechismo. Chi cerca di forzare questa o quella parola , o si erge a “difensore” non richiesto della cristianità, lo fa soltanto per legittimo egoismo personale. Legittimo perchè ognuno può pensarla in modo diverso, ma smettiamola di far finta che questo significhi fare la volontà di Dio.
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Quindi , per finire, il termine “che solfa” sembra l’esclamazione di quei giovani che di fronte ai genitori che gli ricordano che devono studiare rispondono scocciati, ben sapendo in cuor loro che i genitori hanno perfettamente ragione.
E basta con questa icona del profugo.
Adesso è la volta del parroco Paolo Tofani…
Possibile che da un bel po’ di tempo, a ogni Santo Natale debbano (preti e secolaristi vari) ammorbare l’aria dell’Avvento offuscando quella luce che, almeno per un po’ riesce a a infonderci fiducia strappandoci dalle tenebre?
Possibile che debbano, con quel loro unico ditino morale sempre alzato, soffocare i poveri comuni cristiani con la loro mortifera e martellante socio-teologia moralista e ateizzante?
La “fuga in Egitto” è un bocconcino prelibato per sfamare la loro ingordigia di eticità DOC, e nello stesso tempo è il sasso lanciato per lapidare i cristiani che si oppongono all’accoglienza indiscriminata. Possibile che debbano sempre piegare il vangelo e la pastorale all’ideologia terzomondista, al culto del multiculturalismo e ai conseguenti orientamenti politici obbligatori?
La fuga in Egitto non è detto debba leggersi come un fatto di cronaca dell’epoca, ma come di un’immensa Verità rivelata, una tra le più grandi intuizioni teologiche cristiane.
Non per niente, rispondendo alla domanda se la “fuga in Egitto” rispecchiasse un fatto storico o andasse letto soltanto come un richiamo all’esodo biblico del popolo d’Israele, Famiglia Cristiana del 17 gennaio 2010, così argomentava:
“Gli studiosi sono concordi nel ritenere che tale rilettura della Scrittura compiuta da Matteo nei racconti dell’infanzia, rispecchi da vicino il metodo midrashico dei maestri ebrei. … Applicando questo metodo interpretativo, egli rilegge le antiche Scritture per dire che Gesù è un nuovo Mosè, è un nuovo legislatore, è una nuova guida per il popolo di Dio.”
Altro che icona del profugo.