E’ ancora presto per avventurarsi in profezie sui futuri equilibri parlamentari, che ora appaiono assai incerti, eppure che le elezioni politiche di ieri abbiano un vincitore è pacifico. Ma non si tratta di uno schieramento e neppure del partito degli astensionisti, bensì dell’antielitismo. C’è infatti un netto e traversale rifiuto di quanto finora avvenuto ed istituzionalmente approvato, dietro il boom del Movimento 5 stelle e l’incoronamento della Lega a guida della coalizione di centrodestra. Un rifiuto di tanto, forse tutto – la crisi economica, la corruzione, gli sprechi, le banche, l’insicurezza, l’immigrazione incontrollata –, che ha trovato sbocco in queste due forze politiche, da milioni di italiani individuate come decontaminate dalle scorie del potere.
Uno scenario esito di molte concause, ma in primis favorito – in un perfetto esempio di eterogenesi dei fini – proprio da Matteo Renzi e dal suo Pd che, mai usciti vincitori da alcuna elezione nazionale (anche se la percentuale raccolta da Bersani nel 2013, comparata all’odierna, sa di trionfo), hanno comunque preteso di governare per cinque anni da una parte strozzando il dibattito parlamentare a colpi di fiducia e, dall’altra, volendo fare il bello e il cattivo tempo. L’ascesa di Paolo Gentiloni, da questo punto di vista, è giunta troppo tardi e non ha saputo imprimere quella svolta che ai democratici serviva, per evitare il baratro. L’esasperazione che ha soffiato sulle vele leghiste e grilline non è insomma casuale: ha origini e tempi precisi.
E adesso? L’antielitismo uscito dalle urne andrà al governo, previo armistizio tra Lega e 5 stelle? Da parte mia escluderei totalmente quest’ipotesi, degna della più ispirata fantapolitica. Primo perché, se lo facesse, Matteo Salvini – che tutto è fuorché sprovveduto – dilapiderebbe la leadership appena agguantata nel centrodestra; secondo perché l’alleanza tra Movimento 5 stelle e forze di centrosinistra non solo è molto più plausibile, ma ha pure dei precedenti locali. L’effettiva nascita della Terza Repubblica, con Luigi Di Maio premier, non è dunque da escludersi a priori. Ciò disinnescherebbe politicamente il Movimento 5 stelle, che non potrebbe più protestare ma dovrebbe provare a governare: dalle parole ai fatti. Auguri.
Al tempo stesso se, pur essendo lo schieramento più votato, il centrodestra rimanesse unito e libero da strani esperimenti senza dubbio ci guadagnerebbe come dimostrano il calo di Forza Italia e la già citata implosione dem, prove tangibili di quanto certe transitorie alleanze – ancorché siglate nel segno «della responsabilità» – abbiano spazientito gli elettori. Ma queste, come si diceva poc’anzi, sono soltanto ipotesi. La sola certezza è l’antielitismo trasversale affermatosi come realtà vasta, che sconsiglierei di continuare a liquidare sprezzantemente come «populismo»; chi lo facesse, infatti, lo farebbe solo crescere ancora. Per maggiori informazioni, rivolgetevi al centrosinistra e chiedere pure di parlare con uno a caso. La lezione, ormai, sarà chiara tutti loro.
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Comunque…votare M5S da parte di gente di cultura di destra è far andare al governo idee e proposte di sinistra! E’ esattamente fare cioè come quel marito che se lo taglia per far dispetto alla moglie!
Concordo pienamente. Anche i tanti italiani “di destra” che votavano DC nella prima repubblica, commisero lo stesso errore. Anzi, la DC prendeva voti prevalentemente di destra, ma faceva politiche di sinistra. Divorzio e aborto furono introdotti nella legislazione italiana proprio dallo scudocrociato, e abbiamo detto tutto.
Sono d’accordo.
Piaccia o meno, anche in Italia il “basket of deplorables” vota… e se ne frega allegramente dei media “mainstream”, con tutte le loro supponenze (come dimostrato dal baratro delle vendite dei quotidiani ufficiosi)
Bastava l’umiltà di ascoltare il fornaio, il giornalaio, l’impiegata delle poste, il medico di famiglia, e ci si sarebbe accorti che gli italiani non ne possono più del “allora mangino brioches!”, pur aggiornato ai tempi con la volonterosa collaborazione di ISTAT, UE, ONG et cetera.
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