Da Napoli a Torino, dal meridione all’area subalpina, risuona in questi giorni uno stesso allarme: quello per le baby gang, neologismo di derivazione anglofona che sta a indicare quelli che, in altri tempi, erano gruppi piccoli delinquenti, bande di minorenni dedite ad aggressioni e atti vandalici, furti e pestaggi. Ad animare questi violenti giovani ma spietati come i grandi – ha detto bene il Ministro Minniti – è una violenza «nichilista», senza direzione né ragione, che esplode contro chi capita. Le baby gang non hanno idee, progetti né rivendicazioni. Non mirano a sovvertire un ordine ma solo a espandere disordine. Il loro agire è mera traduzione rabbiosa di invidia, noia e malcontento preesistenti. E’ quindi un disagio che diventa degrado, una questione personale che evolve a problema sociale. Di chi le responsabilità?
Chiaramente, in primis, dei genitori. Di padri e madri latitanti i quali, per le più svariate ragioni, hanno abdicato ai loro doveri. Sarebbe tuttavia colpevole e miope sorvolare, assolvendoli, sui grandi alleati del germe «nichilista», che per prosperare abbisogna di provviste. Di che si ciba? Dell’incapacità di educare e della frammentazione della famiglia, dell’implosione della morale e dell’esilio dell’etica. A loro volta espressioni, queste tossine, di una più ampia perdita di Senso. La delinquenza giovanile è dunque solo la punta dell’iceberg, la più affilata ed emergente, del Nulla, di quella ruggine valoriale troppo a lungo sottovalutata ma che, di tanto in tanto, come un mostro di Loch Ness che però esiste veramente, emerge dalle cronache esibendo il suo volto tremendo. Per ricordarci che quando non si sente non muore, ma dorme. Siamo in una baby gang, ci dev’essere un orrore.
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Signore, non glielo devo dire io quello che anche lei sa: si raccoglie quello che si semina. Godiamoci i frutti che sono solo il preambolo in 5 anni a rivoluzione sociale. Cordiali saluti, Paul Candiago.