«Io sono stata la prima a portare un cane in Parlamento. Sarebbe una rivoluzione candidare un animale nella nostra lista», ha dichiarato nei giorni scorsi Michela Vittoria Brambilla. Ora, dinnanzi a queste dichiarazioni, qualcuno, polemicamente – ma neanche troppo –, potrebbe osservare che l’ultima volta che un politico importante di simpatie animaliste si prese a cuore prima un piccolo randagio («Ero incredibilmente affezionato») poi, anni dopo, un pastore tedesco femmina, che portava alle proprie riunioni e che avvicinò, anch’essa, alla propria dieta vegetariana («In un certo senso la mia cagna è vegetariana»), l’umanità ebbe parecchie grane dal momento che, quel tale, era Adolf Hitler.

Dato che però comprendo, almeno in parte, i perplessi sulla reductio ad Hitlerum, mi limiterò a una considerazione e a una domanda. La considerazione è la seguente: quando Caligola (12-41 d.C.) nominò Incitatus – un cavallo – senatore, lo fece per far capire al Senato che non conta più nulla, non certo quale omaggio a qualsivoglia progresso. Il fatto che ora, invece, taluni considerino rivoluzionario «candidare un animale», lascia supporre che il pur depravato terzo imperatore romano, oggi, passerebbe per un illuminato: il che è tutto dire, rispetto ai tempi che stiamo vivendo. Ma soprattutto, e vengo alla domanda, vi sarebbe davvero qualcosa di innovativo nel «candidare un animale»? E tutti gli asini candidati finora, scusate, che erano?

Giuliano Guzzo

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