Il celibato ecclesiastico, come noto, è da anni, costantemente, nel mirino di intellettuali e teologi progressisti i quali affermano che la vita dei sacerdoti e, più in generale, quella della Chiesa cattolica di rito latino migliorerebbe di molto se solo ai preti, come avviene in altre confessioni cristiane, fosse consentito di avere moglie. Una tesi condivisa da molti, ma che presenta almeno due punti deboli. Il primo consiste nel fatto che, se si vanno a vedere quelle congregazioni cristiane nelle quali i reverendi hanno famiglia, si scopre come esse subiscano allo stesso modo, se non di più delle altre, il fenomeno della secolarizzazione. Non è cioè vero che «aggiornando la morale», si arresti l’emorragia di fedeli che interessa molte chiese: proprio per nulla.
Un secondo aspetto che i tifosi della rimozione del celibato ecclesiastico farebbero bene a tenere presente, è che quella della moglie del reverendo non è affatto una vita facile, risultando piuttosto stressante. Non è, si badi, la tesi di qualche conservatore privo di misericordia, ma la realtà emersa da uno studio condotto su oltre 700 di queste donne (provenienti da diversi ambiti: Assemblee di Dio, Luterano, Pentecostale, Battista, ecc.), dal quale cui è emerso come una su quattro, tra le mogli dei reverendi, lavori a tempo pieno; come molte lamentino il fatto che essere la consorte di un pastore le limiti sia economicamente sia nelle relazioni: sette su dieci, infatti, dichiarano di avere appena una manciata di amici, e la maggioranza ritiene che gli impegni ecclesiastici ostacolino il tempo familiare.
Non solo, quasi l’80% di queste donne segnala come la loro comunità si aspetti che quella del reverendo sia una famiglia modello – con tutto lo stress che ne segue -, il 38% fa presente come la congregazione abbia aspettative eccessive sui figli del reverendo e più del 30% fa presente come il loro nucleo familiare non abbia abbastanza privacy (cfr. AA.VV. (2017) Pastor Spouse Research Study; «LifeWay Research»; 1-155). Numeri che mettono un po’ in crisi, si converrà, l’idea che abolire il celibato ecclesiastico e consentire ai pastori di avere famiglia sarebbe una svolta, nei fatti, così positiva. Poi è chiaro: lo studio citato non ha un gruppo di controllo e non consente confronti né generalizzazioni. Eppure basta a suggerire che quella a favore del celibato ecclesiastico sia, probabilmente, la posizione più saggia.
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Il celibato non è sempre esistito nella Chiesa cattolica ed è comunque una norma disciplinare che può essere modificata. I sacerdoti della Chiesa cattolica di rito orientale presenti anche in Italia possono sposarsi. Gli ortodossi si sposano. Ho riflettuto su questo e credo che sarebbe bene per i sacerdoti diocesani vivere in comunità come i religiosi perché condurrebbero una vita più “familiare” e disciplinata negli orari ecc.
Non mi pare sia così nella chiesa ortodossa in quanto: l’uomo sposato può diventare sacerdote ma il sacerdote non può sposarsi, è diverso.
Esatto Mary, è come dici.
Il sacerdote sposato poi non può mai in nessun caso divenire “Archimandrita” (superiore di un Monastero o di una Congregazione).
Aggiungo anche che i Vescovi vengono scelti solo tra clero celibe, e che, se rimangono vedovi, i preti non possono risposarsi. Evidentemente il clero sposato è ritenuto accettabile, ma non certo l’optimum.
Se non erro inoltre, nei primi secoli esistevano sì preti sposati ma costoro, dopo l’ordinazione, dovevano condurre una vita di totale continenza. Una “liberalizzazione” è avvenuta nella seconda metà del I millennio prima ad Oriente (coincidente con la disciplina odierna di quelle Chiese) per poi portarsi ad Occidente; qua, però, a differenza di là, anche quando i costumi si rilassarono, fu sempre incoraggiato il celibato, finché nel II millennio, dinanzi alla permanenza del clero sposato (e agli abusi che esso portava) si decise di rendere il celibato obbligatorio.
Una persona non sposata e’ certamente più disponibile verso i fedeli…; puo’ facilmente cambiare parrocchia ed essere spostato da vescovo…; non parliamo poi dei casi in cui il sacerdote si troverebbe in potenziali problematiche “consequenziali” come dover accudire i suoceri, ecc…. Insomma la vedo un po’ difficile avere un occhio per la situazione famigliare e l’altro per la comunità ecclesiale. Inoltre se c’é vero amore il matrimonio sponsale rischia di “configurare” il sacerdozio alla stregua di un semplice lavoro (come andrebbe “gestita” la vocazione?). Del resto Gesù-uomo NON era sposato… e a quei tempi il celibato non era “norma” come ormai “accade” nella spenta e morente societa’ occidentale.
«Non è cioè vero che «aggiornando la morale», si arresti l’emorragia di fedeli che interessa molte chiese: proprio per nulla».
L’emorragia che investe ormai ovunque i fedeli, non soltanto cattolici, nulla c’entra con il celibato dei sacerdoti, che in non pochi casi è da sempre volentieri disatteso o al non rinnovamento della morale da parte delle Chiese. L’aggiornamento della morale avviene comunque e va di pari passo con il progredire della società. Ciò che qualche decennio fa era considerato immorale si è oggi trasformato in banale consuetudine.
L’allontanamento dalla pratica religiosa e il conseguente disinteresse nascono laddove diventa difficile credere a fantasiosi scenari la cui descrizione si affida a supposizioni o a dogmi improbabili. Credere non vuol dire sapere.
A questo concorre oggi in modo preponderante l’evoluzione dei mezzi tecnici che in molti campi consente all’uomo di raggiungere obiettivi fino a qualche tempo fa considerati miracolosi. Naturalmente esiste il rovescio della medaglia rappresentato da un’etica ormai in affanno, perché stravolta dalla “tecnica” non soltanto nel campo medico ma messa continuamente in discussione su principi validi fino a ieri. Capita sempre più spesso di dover valutare problematiche squisitamente tecniche con una strumentazione etica / morale inadeguata. Accusare il demonio del male del mondo è fuorviante: ci si dimentica che noi uomini siamo liberi e quindi responsabili delle nostre scelte. Possiamo e dovremmo sempre scegliere il bene per vivere con coerenza e in pace con la propria coscienza, senza tuttavia per questo aspettarsi improbabili premi.
Vere molte delle precisazioni ma resta il fatto che è una norma disciplinare e come tale modificabile. Per esempio una norma disciplinare è il digiuno prima della comunione e chi ha una certa età sa che prima del 1965 servivano almeno tre ore ecc.
Resta il fatto che pur essendo tale (norma disciplinare) non è detto sia cosa buona cambiarla…
Sull’argomento tanto è stato scritto che fa un sunto (anche se del 2013) non tanto degli aspetti teologici, quanto della prassi:
http://www.lastampa.it/2013/09/14/vaticaninsider/ita/vaticano/preti-sposati-quelleccezione-di-ratzinger-fGrbKU26eGqTljXqv32AZJ/pagina.html
Grazie per il documento dettagliato. Ricordo uno scritto di Ratzinger un po’ datato dove, affrontando l’argomento e utilizzando la sua delicata ironia, osservava che sarebbe stato ancora più complicato avere a che fare con preti che volevano divorziare. Il documento è inserito in un libro su alcuni suoi scritti che ho anche comprato ma non lo ritrovo.
“…sarebbe (stato) ancora più complicato avere a che fare con preti che volevano divorziare.”
Eh già!
«Non è cioè vero che «aggiornando la morale», si arresti l’emorragia di fedeli che interessa molte chiese: proprio per nulla».
L’emorragia che investe ormai ovunque i fedeli, non soltanto cattolici, nulla c’entra con il celibato dei sacerdoti, che in non pochi casi è da sempre volentieri disatteso o al non rinnovamento della morale da parte delle Chiese. L’aggiornamento della morale avviene comunque e va di pari passo con il progredire della società. Ciò che qualche decennio fa era considerato immorale si è oggi trasformato in banale consuetudine. L’allontanamento dalla pratica religiosa e il conseguente disinteresse nascono laddove diventa difficile credere a fantasiosi scenari la cui descrizione si affida a supposizioni o a dogmi improbabili. Credere non vuol dire sapere.
A questo concorre oggi in modo preponderante l’evoluzione dei mezzi tecnici che in molti campi, consente all’uomo di raggiungere obiettivi fino a qualche tempo fa considerati miracolosi. Naturalmente esiste il rovescio della medaglia rappresentato da un’etica ormai in affanno, perché stravolta dalla “tecnica” non soltanto nel campo medico ma messa continuamente in discussione su principi validi fino a ieri. Capita sempre più spesso di dover valutare problematiche squisitamente tecniche con una strumentazione etica / morale inadeguata. Accusare il demonio del male del mondo è fuorviante: ci si dimentica che noi uomini siamo liberi e quindi responsabili delle nostre scelte. Possiamo e dovremmo sempre scegliere il bene per vivere con coerenza e in pace con la propria coscienza, senza tuttavia per questo aspettarsi improbabili premi.
PS. Ieri ho inviato lo stesso commento errando la mail: ho inserito un punto dove non ci voleva!
Qui parliamo dei pastori protestanti, cioè di una figura che rappresenta l’eresia dottrinale per eccellenza. Non a caso, il protestantesimo è da sempre quello che meglio si presta alle spinte moderniste della società avvenute nei decenni scorsi, anche se purtroppo pure il cattolicesimo con il CVII del 1962 si è fatto trascinare da tali spinte, con l’eccessiva apertura e tolleranza a tutto.
Io non credo che il celibato dei sacerdoti cattolici sia il vero problema. Il problema sta nell’osservare tutti i precetti della religione cattolica, cosa che, va detto chiaramente, da sempre tutti i membri del clero si rifiutano di fare o lo fanno in maniera troppo personalizzata. Tra questi precetti vi è senz’altro la castità, che spesso e volentieri non viene osservato perché purtroppo certi preti, invece di farsi comandare dalla ragione si fanno dominare dai propri istinti carnali, errore che nessun essere umano dovrebbe mai commettere a prescindere se è un laico o un religioso, altrimenti si rende uguale alle altre specie animali.
Nel corso della storia quanti ne sono nati figli illegittimi di preti, o addirittura figli di NN generati da relazioni tra preti e suore: non pochi. Inoltre proprio questa incapacità evidente da parte di non pochi preti di mettere a freno i propri istinti carnali, è la causa principale dei numerosi casi di pedofilia verificatisi all’interno della Chiesa cattolica. Di sicuro non è abolendo il celibato dei preti che si risolvono questi problemi, poiché sicuramente anche molti pastori protestanti commettono questo genere di nefandezze, per cui le istituzioni ecclesiastiche rispetto a chiunque decide di fare il sacerdote devono necessariamente fare qualcosa nel cercare di imporgli di mettere a freno i propri istinti carnali e fargli capire che deve seguire l’esempio di Gesù in tutto e per tutto.
Se uno sceglie il sacerdozio deve saperlo che deve condurre una vita assolutamente casta, altrimenti tradisce ciò per cui ha deciso di fare quella vita. Tra l’altro poi il prete che ad un comune fedele gli dice di osservare determinati precetti, e poi si scopre che lui è il primo che non li osserva o lo fa solo parzialmente, rischia solo di predicare bene e di razzolare troppo male.