Attenzione, cari eterosessuali, a dichiaravi tali. Potrebbero toccarvi i Carabinieri. Sul serio. E’ quanto successo a un imprenditore di Latina che, nel giorno in cui nella città laziale sfilava il Gay Pride, ha affisso fuori dalla finestra di casa sua uno striscione bianco con sopra una scritta molto chiara a proposito delle proprie preferenze sessuali: «W la f..a». Provocazione, come si diceva, costata a costui una visita dei militari dell’Arma. L’uomo, scrivendo alla redazione del sito Latina24ore.it, ha cercato di motivare così la goliardata: «Comprendo la frase di impatto forte, ma [… ] posso essere anche io libero di esprimere i miei gusti sessuali?».

In effetti, se da una parte l’orgoglio gay non solo esiste ma gode da anni di legittimazione e di immunità mediatica – al punto che le tendenze omosessuali, oggi, sembrano quasi oggetto di vanto – non si comprende per quale motivo, invece, l’orgoglio etero dovrebbe costituire un problema. Eppure a questo punto siamo, con una liberazione della sessualità del tutto unilaterale. Come se fosse la cara vecchia condizione eterosessuale ad essere una malattia. Che poi, a ben vedere, è esattamente ciò che ebbe a sostenere uno dei fondatori e guru del movimento omosessuale italiano, lo scrittore e filosofo Mario Mieli (1952–1983).

«L’eterosessualità – scrisse il Mieli – è patologica, poiché il suo primato si regge come un despota sulla repressione delle altre tendenze dell’Eros. La tirannide eterosessuale è uno dei fattori che determinano la nevrosi moderna e […] è anche uno dei più gravi sintomi di questa nevrosi» (Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli 2002, p.39). Posto che, in generale, sarebbe opportuno la sessualità – in quanto tale – tornasse a fare rima con pudore, questo sconosciuto, oggi siamo quindi al punto che se dichiari di provare un’attrazione omosessuale, passi subito per eroe. Se invece, con una goliardata, rivendichi una preferenza sessuale opposta, rischi di passare dei guai. Tutto questo in nome della libertà. Ovvio.

Giuliano Guzzo

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