Parte del mondo cattolico e del mondo mussulmano italiano, dopo l’attentato di Manchester, hanno espresso la loro condanna. Ma non contro il giovane attentatore, Salman Abedi, bensì verso S.E. Mons. Negri, arcivescovo di Ferrara, reo d’aver commentato l’accaduto da cattolico ricordando che «il Male è una persona», che quelle dei morti del Manchester Arena sono «vite falciate dall’odio del demonio» e che è tempo di sbarazzarsi della «retorica di chi non ha niente da dire di fronte alle tragedie perché non ha niente da dire di fronte alla vita».
Ora, che la comunità islamica di Bologna si sia risentita per queste parole – e per altre, con cui Mons. Negri ha osato parlare di «guerra di religione» –, sarò crudele, non mi allarma particolarmente. Mi preoccupa invece di più un mondo cattolico dove oggi il pensiero infastidisce più del peccato; dove delle cose si tenta di dare solo, spesso neppure riuscendovi, una interpretazione sociale e mai soprannaturale; dove si predica l’illimitatezza della misericordia ma se pratica l’assenza; dove la tolleranza è abbondante ma selettiva; e dove il Vangelo, ormai, fa più paura del Corano.
Lo so, non c’è molto da guadagnare a schierarsi dalla parte di un «vecchio rancoroso» – così è stato elegantemente apostrofato l’arcivescovo di Ferrara, in un sito a parole cattolico -, ma da quel poco che ho capito del Cristianesimo verità e convenienza non fanno rima; anzi, dove c’è la seconda, di solito, non trovi mai la prima. Per questo, e non certo perché venerdì scorso questo vescovo ha avuto parole generosissime per il mio libro, aggiungo il mio trascurabile appoggio a quello di coloro i quali, in queste ore, stanno esprimendo la loro solidarietà a Mons. Negri. Meno male che abbiamo ancora pastori che, all’intensità dell’applausometro, preferiscono l’integrità delle pecore.
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Sono come te con Mons. Negri totalmente.
Non capisco il risentimento della comunità islamica per quelle parole. se fossero oniesti davvero, dovrebbero essere loro a pronunciarle e dimostrare così alle comuità cristiane che loro prendono le distanze da assassini che purtroppo covano nella loro religione.
Per seconda cosa forse dobbiamo noi smettere di chiamare cattolici certi figuri che si dichiarano tali per il solo fatto di essere battezzati, cresimati, ordinati o magari sposati in Chiesa, poveri illusi se pensano che sia sufficiente.
Anch’io sto dalla parte di mons Negri, ad averne di “vecchi rancorosi” come lui.
Il loro risentimento è piuttosto un autogol…
Perché se l’ennesimo invasato jihadista kamikaze non fosse dei “loro”, che problema ci sarebbe nel definire lui la sua azione demoniaca?
Per la verità dell’intervento di Mons Negri non mi è piaciuto non certo il riferimento alla persona del Male, che condivido, ma un non velato atteggiamento di giudizio sul senso delle vite falciate. Non credo fosse il caso di sindacare sulle ragioni con cui le vittime hanno vissuto (“quasi senza ragioni …”), perchè le bombe, quando scoppiano, non vagliano le ragioni di vita delle loro vittime prima di distruggerle. Nè Gesù giudicava le ragioni di vita di chi incontrava, ma a tutti diceva “vieni e seguimi”.
Non credo che mons Negri si riferisse personalmente alle povere vittime di Manchester (anche perché dubito che le conoscesse personalmente…).
Chiaramente si riferiva ad una generazione, al giovane “tipo” della decadente società occidentale di questi anni, a cui la nostra generazione, quella si colpevole, non ha saputo dare ragione e senso del vivere; a meno che non si voglia dire che il nulla, il caos o il caso sono capaci di dare un senso, una ragione ad un’esistenza.
Beh, mi pare che all’inizio del suo intervento si riferisse chiaramente alle vittime che avevano perso la vita o che erano rimasti feriti, chiamandoli figli. Proprio perchè non li conosce credo avrebbe fatto meglio ad astenersi dai giudizi parlando a loro. Se voleva invece rivolgersi ad una generazione in toto, meglio sarebbe stato separare dal contesto della strage le sue parole.
Gli islamici si credono al di sopra di tutti perché noi glielo permettiamo e quindi se la prendono anche quando chiami i loro assassini con il nome giusto. Intanto nessuno di loro sta marciando contro chi uccide in nome della loro religione….come mai?
Caro Giuliano,
riferendosi ai ragazzi che erano al concerto, Mons. Negri fa le seguenti affermazioni:
– Siete venuti al mondo, molte volte neanche desiderati
– nessuno vi ha dato delle «ragioni adeguate per vivere»
– Siete cresciuti così, ritenendo ovvio che aveste tutto.
– E quando avevate qualche problema esistenziale – una volta si diceva così – e lo comunicavate ai vostri genitori, ai vostri adulti, c’era già pronta la seduta psicanalitica per risolvere questo problema.
– Si sono solo dimenticati di dirvi che c’è il Male.
– Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto.
– Non preoccupatevi, non vi hanno aiutato a vivere ma vi faranno un “ottimo” funerale
E rispetto alla Chiesa:
– nelle chiese non si fanno più funerali perché, come dice acutamente il cardinale Sarah, nelle chiese cattoliche ormai si celebrano i funerali di Dio.
Questo è il modo con il quale un Vescovo della Chiesa cattolica si rivolge a persone che neanche conosce?
E’ questa la posizione nei confronti della Chiesa cattolica, tutto da bruciare tranne lui?
Simone
Non mi sembra sia necessario conoscere a fondo chiunque per dare un giudizio, peraltro assai lieve, sui tempi in cui viviamo. Basta guardarsi attorno per capire come il senso della vita tra i post-cristiani di oggi aspiri ad un livello poco più che zoologico.
Di più, è encomiabile che Negri abbia incluso nella critica anche il proprio gruppo di appartenenza: nessun clericalismo dunque, né difesa di interessi di casta.
Capisco che sarebbe stato molto più confortante per i post-cristiani di oggi sentire le untuosità clericali che vanno di moda oggi: costruire ponti e non muri, misericordia, blablabla; ma una religione che non inquieta o non infastidisce è solo un soprammobile del laicismo.
Direi che senza problemi posso estendere quel giudizio a te, alla tua famiglia ed ai tuoi amici aggiungendo che il tuo modo di giudicare “lieve” mi sembra una grande cavolata.
Se dovessimo applicare i tuoi criteri per formulare un giudizio l’unica via percorribile sarebbe tacere (e vale per tutti, anche per il tuo primo commento).
Ora, al concerto ci saranno state qualche decina di migliaia di persone, quindi un campione ampio e rappresentativo della società britannica, almeno nelle fasce più giovani. Se andiamo a vedere le statistiche, i sondaggi, ecc. vediamo come quella fascia di età sia la più secolarizzata e quella che vive più di ogni altra ad un livello, come ho scritto, zoologico, senza quindi “ragioni per vivere” che andassero oltre ad un benessere materiale o poco più. Non è neanche colpa loro: è così che è stato loro insegnato da chi è venuto prima.
Considerando quanto sopra, dunque il giudizio di Negri è sufficientemente centrato; magari non sarà stato esatto per tutti i partecipanti e i morti, ma per la grande maggioranza diciamo che ci azzeccato.
Quindi perché indignarsi? Perché ha ribaltato le banalità che il clero ed i cattolici in genere affermano quando accadono certi eventi. Perché turba, insomma. E quindi si invoca il rispetto, il silenzio, bla bla (ovvero mettere la testa sotto la sabbia). L’ipocrita invito a “non giudicare” viene fatto tutto e solo per queste ragioni.
Michele, è davvero grossolano che a chi è vittima della cieca violenza radicale altrui (e di Satana che l’ha provocata, siamo d’accordo) si vada ad imputare la mancanza di ragioni del vivere; quella povera gente, nel suo piccolo e meschino quotidiano, uno straccio di ragione per continuare a vivere pur ce l’aveva, e quella sera avrebbe comunque voluto continuare a vivere la sua vita pur “quasi senza ragione”, come la descrive Negri. Non è stata quella povera gente che si è fatta esplodere per distruggere vite altrui. Se il cristianesimo si rivolge alla libertà umana di impostare la propria vita come si crede meglio (senza distruggere quella altrui nè fare del male, naturalmente), bisogna che questa libertà umana sia rispettata e non denigrata, perchè solo se questa libertà umana trova una libertà più grande e piena può aderirvi.Se non la trova non vi aderisce. Magari, meno grossolanamente, la stessa imputazione Negri avrebbe potuto farla all’attentatore che, lui sì, la ragione per vivere non la trovava più e si è fatto saltare in aria per uccidere altri. Io penso a Gesù: davanti ad ogni sofferenza che incontrava non giudicava, ma abbracciava e guariva; e davanti ad ogni violenza a cui assisteva (pensa alla lapidazione della prostituta), non giudicava ma apriva un’altra prospettiva, più vera. Negri vuole trovare una motivazione al fatto che nelle chiese si celebra il funerale di Dio? Se va a cercarla nella responsabilità dei genitori dei ragazzini uccisi, che darebbero ai figli solo beni materiali e psicologi e sbaglia bersaglio. Vada a cercarla in chi, di noi cristiani, non rende la chiesa accogliente a capace di testimoniare l’amore di Gesù. Vada a cercarla, ad esempio, in chi i bambini magari non li uccide fuori ma li uccide dentro … e mi fermo perchè sono certo che capirai a chi mi riferisco. Subito dopo la strage dei bambini di Manchester c’è stata un’altra strage di bambini copti. Avrebbe scritto le stesse cose Negri? O forse, siccome i bambini copti non erano probabilisticamente secolarizzati come quelli di Manchester, avrebbe scritto cose diverse? Non lo so e non mi interessa. Per me sono due stragi che gridano ugualmente dolore. Se non siamo più capaci di stare davanti al dolore per quello che è, ma lo usiamo ideologicamente per sostenere la nostra istanza … cambiamo mestiere.
Faccio fatica a ragionare in termini statistici e di campioni: qui si parla di essere umani con tutto quello che questo comporta. Al concerto avresti potuto esserci te o io e, non perché siamo migliori, ma avrei trovato profondamente offensive le sue parole. In termini statistici si fa del moralismo che è quello che ha fatto non è Negri.
Ma magari se i moralisti parlassero di ragioni per vivere, come Negri! Invece no, pronunciano parole di ammuffito buonismo.
Massimo, sono parzialmente d’accordo con quanto scrivi. Non mi pare che Negri si sia accanito sulle vittime; certo lo si potrebbe accusare di aver usato la tragedia per altri fini (a me pare che le sue accuse colpiscano più che altro la Chiesa odierna, e quindi non voglia scaricare fuori colpe interne alla Chiesa).
Il punto è però capire cosa si può dire e fare di cristiano nei confronti di un mondo secolarizzato che davanti a tragedie come queste sa solo piangere, tirare fuori gessetti e cantare Imagine. Accompagnare e accogliere, ok. Ma a parte essere uno slogan ecclesiale di grande successo da qualche anno a questa parte, cosa significano concretamente? Come vengono declinate? A me sembra non essere altro che un accodarsi all’andazzo generale senza far troppo rumore, ovvero diventare brutte copie di qualcos’altro.
Quindi ben venga la provocazione di Negri, che vuole scuotere la Chiesa dal suo accomodamento (ai secolarizzati ha dato parecchio fastidio, come si vede dall’indignazione pelosa del Mario qui sotto).
Michele, non ti sarà certo sfuggita la reprimenda di Negri verso i genitori dei bambini. Su di loro Negri fa cadere la responsabilità di “averli messi al mondo senza neanche desiderarli” (??? ma se sono al mondo vuol dire che qualcuno li avrà pur desiderati, no?), “di non aver dato loro ragioni adeguate per vivere” (??? ma se quella sera nessuno di loro desiderava morire, tranne l’attentatore, forse vuol dire che uno straccio marcio di ragione, per loro comunque adeguata, per vivere forse ce l’avevano, no?), di aver dato loro la convinzione di poter fare ciò che vogliono e che ogni loro desiderio è un diritto (??? ma che ne sa Negri dell’educazione che hanno ricevuto quei bambini?), di “non aver insegnato loro che c’è il Male e che è una persona (??? anche qui, che ne sa Negri?; possiamo almeno dire che nessuno di quei bambini, quella sera, aveva intenzione di prestare il proprio corpo a Satana per uccidersi ed uccidere altri?), di organizzare funerali pieni di bolsa retorica laicista, all’aria aperta, e con i pelouche sui marciapiedi e di non aver nulla da dire di fronte alle tragedie perchè nulla hanno da dire di fronte alla vita (??? vogliamo permettere ad una persona di celebrare come meglio crede un funerale, in base a ciò che di più vero ha conosciuto nella sua vita, se è vero che la chieda cattolica guarda con simpatia a tutti i tentativi umani di dare un senso alla vita?; e vogliamo ammettere che se questa persona non ha incontrato nessun senso più alto di quello che ha fatto suo al momento presente, si tiene quello?; e vogliamo ammettere che se qualcuno ritiene di avere un senso più alto di quello può farglielo incontrare senza denigrarla?), di non avere rispetto per la verità, scritta con lettera minuscola, come l’ha scritta Negri (??? non ti pare un ulteriore fare i conti in tasca a gente che non conosce?), di avere la colpa di aver fatto sprecare la vita dei loro figli (??? ciliegina sulla torta … in faccia). I tre quarti della lettera sono un’accusa ai genitori: ma tu hai recepito solo le accuse alla chiesa odierna … mah! Mi chiedi. “cosa si può dire e fare di cristiano nei confronti di un mondo secolarizzato che davanti a tragedie come queste sa solo piangere, tirare fuori gessetti e cantare Imagine”? E’ come chiedere cosa si può fare quando la stalla è vuota perchè i buoi, liberi, se ne sono andati. Si vede che hanno trovato foraggio più buono altrove. Si vede che il foraggio che gli veniva dato non li soddisfava più. Ed ora ripetere ai buoi, liberi, che si stanno foraggiando con un foraggio senza senso non li convincerà di certo a tornare alla stalla. Bisogna fare autocritica e ricentrare la nostra vita su Gesù. Nice diceva che la bellezza del cristianesimo voleva vederla nelle facce dei cristiani. Ma non la vedeva. Forse aveva un po’ di ragione. C’è bisogno di testimoni, di essere testimoni. C’è bisogno dire la verità nel lavoro, quando il tuo collega subisce mobbing senza motivo, perchè almeno il tuo collega sappia che per te c’è una verità più grande di quella del capo e te l’ha insegnata Gesù. C’è bisogno di dedicare il proprio tempo a sostenere chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, perchè almeno costui sappia che per te la sua dignità vale quanto la tua perchè te l’ha insegnato Gesù. C’è bisogno di mostrare ai nostri figli (non di dire ma di mostrare) nel quotidiano che Gesù è il nostro maestro, che guardiamo a Lui ogni giorno e cerchiamo di imitarlo. E, quando sbagliamo, c’è bisogno di imparare a chiedere “scusa”, senza dimenticare le altre due parole che Papa Francesco spesso ci ricorda: “grazie” e “per favore” ( ma mi par di aver capito che Papa Francesco non sia esattamente nella top ten dei riferimenti culturali di Negri …). Ho l’impressione, da questa lettera, che ora Negri non stia affatto bene con se stesso, se finisce per utilizzare strumentalmente un grande dolore grande per caricare chi lo vive di responsabilità che non ha. E ci sta: ciascuno ha il diritto di non star bene. Ma allora, in quei momenti, è meglio tacere.
Guarda Massimo, in linea di principio sono d’accordo con te. E penso che anche Negri approverebbe ciò che hai scritto nella seconda parte. Ora, tu hai letto l’articolo come una reprimenda ai genitori; io quel passaggio l’ho letto come punto di partenza di una denuncia verso la Chiesa e l’occidente attuali, denuncia che a mio avviso ha ragioni da vendere. Anche perché le sue accuse, per quanto possano risultare fastidiose ad alcuni, sono in larga parte centrate: si può discutere sul metodo (ognuno ha la sua sensibilità, ma in dubiis libertas), ma sul merito credo ci sia poco da obiettare.
E’ vero, i buoi sono scappati e forse così non rientrano (ma sono decenni che si prova in tutti i modi di farli rientrare ed anzi continuano a uscire), ma, se come penso, l’obiettivo delle parole di Negri è quello di dare una scossa, allora non può che essere giudicato positivamente: vedi mai che qualcuno comincia a riflettere veramente su un senso della vita ulteriore a quello del “life is now”.
Michele, la reprimenda è oggettiva. Se poi Negri l’ha voluta mandare in generale alla società secolarizzata ha completamente sbagliato bersaglio ed ambientazione. La secolarizzazione e l’abbandono della chiesa non c’entra nulla col dolore di padri e madri che hanno perso i loro figli. Tanto è vero che anche in contesti meno secolarizzati (fra i cristiani copti) accadono le stesse tragedie e Satana opera ugualmente, come ha dimostrato l’attentato di alcuni giorni fa. La scossa non si da a chi ha appena messo il dito nella presa della corrente. Non so se Negri approverebbe quel che ho scritto. temo sia ben convinto di quel che ha scritto lui, che è tutta un’altra cosa.
La reprimenda è di tre capoversi su otto che ne contiene l’articolo, 13 righe su 31.
Negri ha preso spunto da una tragedia per allargare il discorso; operazione legittima, credo. Anche lui ritiene così di dare una risposta, più che al dolore di coloro che hanno perso i figli (che verosimilmente neppure hanno mai sentito parlare di lui), agli interrogativi di molti.
Potrà non piacere ma non capisco perché etichettarla di non cristiana o completamente fuori bersaglio.
Michele, la reprimenda va da “Siete venuti al mondo, molte volte neanche desiderati …” a “Possono non servirla ma devono averne rispetto”, tranne il breve tratto in cui descrive il Male come persona. Ma poi, anche nelle ultime parole della lettera torna a scaricare la responsabilità sugli adulti. Mi chiedo: perchè ha dedicato tanto spazio a bacchettare un po’ tutti se il suo scopo era un’altro?
Comunque, se vogliamo contare le righe, nella stampa che ho davanti conto 33 righe di reprimenda su 44. A casa mia fa giusto giusto 3/4. Ma anche se fosse la metà, perchè dedicare metà lettera ad una reprimenda davanti al dolore degli stessi a cui la reprimenda e’ indirizzata?
L’ha ribloggato su Organone ha commentato:
Anch’io sto con Monsignor Negri
«… Se non siamo più capaci di stare davanti al dolore per quello che è, ma lo usiamo ideologicamente per sostenere la nostra istanza… cambiamo mestiere». Appunto!
Tuttavia non deve meravigliare il pensiero espresso da Negri. Ricalca bene la mentalità arrogante di una Chiesa anacronistica, che non attira più e che genera tra le persone quell’indifferenza ormai così diffusa, specie tra i giovani, di cui la Chiesa è artefice e vittima. Si tratta del solito modo di giudicare teso a denigrare e a offendere chi non crede o non mette in pratica gli “insegnamenti” della Chiesa.
Come se chi ha fede in Dio fosse immune da certe miserie umane, avesse la verità in tasca e sempre ben chiare le risposte da dare ai quesiti esistenziali e non si rende conto invece che spesso si affida a fantasiosi scenari la cui esistenza è frutto di dogmi e infinite supposizioni.
Un modo di giudicare vile, non richiesto e spesso mascherato dalla famosa locuzione ipocrita del voler giudicare il peccato e non il peccatore, balle! Si giudica il peccato e spesso si rende impossibile la vita dei peccatori.
E l’alternativa, egregio Mario, quale sarebbe? Non giudicare proprio, né peccato né peccatore? Forse le sfugge che della “mentalità arrogante di una Chiesa anacronistica” praticamente non c’è traccia. Vescovi, preti, prelati vari che parlino come lui si contano sulle dita di una mano; le sfugge anche che l’indifferenza così diffusa è logicamente conseguenza di una Chiesa che nulla ha dire, perché ciò che dice non è altro che ripetizione (di bassa lega) di ciò che dice il mondo.
«Chi odia il rimprovero segue le orme del peccatore,
ma chi teme il Signore si convertirà di cuore.
Da lontano si riconosce il linguacciuto,
ma l’assennato conosce il suo scivolare.
Chi costruisce la sua casa con ricchezze altrui
è come chi ammucchia pietre per l’inverno.
Mucchio di stoppa è una riunione di iniqui;
la loro fine è una fiammata di fuoco.
La via dei peccatori è appianata e senza pietre;
ma al suo termine c’è il baratro degli inferi.
Chi osserva la legge domina il suo istinto,
il risultato del timore del Signore è la sapienza.
Non diventerà educato chi manca di capacità,
ma c’è anche una capacità che aumenta l’amarezza.
La scienza del saggio cresce come una piena;
il suo consiglio è come una sorgente di vita.
L’interno dello stolto è come un vaso rotto,
non potrà contenere alcuna scienza.
Se un assennato ascolta un discorso intelligente,
l’approverà e lo completerà;
se l’ascolta un dissoluto, se ne dispiace
e lo getta via dietro la schiena.
Il parlare dello stolto è come un fardello nel
cammino,
ma sulle labbra dell’intelligente si trova la grazia.
La parola del prudente è ricercata nell’assemblea;
si rifletterà seriamente sui suoi discorsi.
Come casa in rovina, così la sapienza per lo stolto;
scienza dell’insensato i discorsi incomprensibili.
Ceppi ai piedi è la disciplina per l’insensato
e come manette nella sua destra.
Lo stolto alza la voce mentre ride;
ma l’uomo saggio sorride appena in silenzio.
Ornamento d’oro è la disciplina per l’assennato;
è come un monile al braccio destro.
Il piede dello stolto si precipita verso una casa;
l’uomo sperimentato si mostrerà rispettoso.
Lo stolto spia dalla porta l’interno della casa;
l’uomo educato se ne starà fuori.
È cattiva educazione d’un uomo origliare alla porta;
l’uomo prudente ne resterebbe confuso.
Le labbra degli stolti ripetono sciocchezze,
le parole dei prudenti sono pesate sulla bilancia.
Sulla bocca degli stolti è il loro cuore,
i saggi invece hanno la bocca nel cuore.
Quando un empio maledice l’avversario,
maledice se stesso.
Il maldicente danneggia se stesso
e sarà detestato dal suo ambiente.»
Si direbbe questo testo “ricalca bene la mentalità arrogante di una Chiesa anacronistica, che non attira più e che genera tra le persone quell’indifferenza ormai così diffusa, specie tra i giovani, di cui la Chiesa è artefice e vittima. Si tratta del solito modo di giudicare teso a denigrare e a offendere chi non crede o non mette in pratica gli “insegnamenti” della Chiesa.”
Eppure è Parola di Dio (Siracide 21, 6-28), Verità che non passa e che non muta…
Che non sembra neppure fare troppa distinzione tra peccato e peccatore.
Certo applicabile a chiunque, credente e non credente… parola scomoda, di certo oggi mal sopportata e (parrebbe) anacronistica.
La mentalità “arrogante” poi, oggi la troviamo nella Chiesa o nella mentalità del mondo, tra i giovani e i loro “maestri” (genitori e non)?
Non in tutti certo, ma non cogliere le radici della secolarizzazione (laddove anche la Chiesa ha certamente delle responsabilità …dubito fortemente sia nella presunta arroganza), non è problema da poco.
P.S. i peccatori si rendono la vita impossibile da se stessi. Lo dico con infinita tristezza e per esperienza diretta.
Mario, l’intervento di Negri l’ho trovato fuori luogo, ma la Chiesa non è solo Negri. E lo stesso Negri, in altre occasioni, ha scritto cose di livello. Per cui la tua descrizione generale della chiesa non la condivido.
Il vero problema è rappresentato dalle tante, forse troppe, persone deboli e insicure che non riescono a vivere senza appoggiarsi a un qualsiasi dogma. E si sa che un dogma non è dimostrabile.
Poco importa quindi se religioso, materialista, scientifico o indefinito. Purché si tratti di un precetto che, in nome di una qualche presunta verità assoluta, li dispensi dalla fatica del pensare per poi affidarsi a qualche ciarlatano.
Chiunque ha il diritto di abbracciare una vita rigida da esaltato, ma questo non lo autorizza a giudicare in modo dispregiativo chi dissente, e a imporre a chi si mostra indifferente la propria visione.
«Quindi ben venga la provocazione di Negri, che vuole scuotere la Chiesa dal suo accomodamento (ai secolarizzati ha dato parecchio fastidio, come si vede dall’indignazione pelosa del Mario qui sotto)».
Parecchio fastidio? Indignazione pelosa? Se un sacerdote dell’esperienza e dell’età di Negri è convinto con quelle parole del tutto fuori luogo di riuscire a scalfire l’indifferenza e a far breccia in chi quel “Messaggio” non ha fin qui colto o voluto cogliere, e allora ha proprio sbagliato mestiere.
Mario, tutti hanno una debolezza di fondo: il fatto che vivono una mancanza, un vuoto. Cercano di riempirlo con una cosa, una persona, un’idea, una religione. Ma la debolezza ce l’abbiamo tutti, anche io e te. Anche gli atei, che credono (cioè fanno un atto di fede) sul fatto che Dio non esista. A tutti manca il riscontro finale, definitivo, sul senso della vita, perchè non siamo noi padroni dell’origine nè del fine della nostra vita. Ci affidiamo ad un senso perchè senza un senso non possiamo stare, almeno finchè non ne incontriamo uno più grande. Io non vedo affatto questo affidarci come un problema, ma come una cosa necessaria, una tappa della strada. L’importante è che sia sempre possibile un incontro fra il mio senso e quello di un altro; l’importante è che ognuno sia sempre vigile nel verificare il proprio senso con la quotidianità.
“Chiunque ha il diritto di abbracciare una vita rigida da esaltato, ma questo non lo autorizza a giudicare in modo dispregiativo chi dissente, e a imporre a chi si mostra indifferente la propria visione.”
Il che è come dire che ognuno ha il diritto di lasciare che l’altro faccia una vita da esaltato, ma non di andare ad insegnare all’esaltato quali sono i limiti della sua azione da esaltato, dicendo (all’esaltato) che non può giudicare, che non può imporre, bla bla.. Ma allora che razza di senso ha dire che ognuno a diritto a fare la vita da esaltato, se poi come tale non può comportarsi?! Mah, misteri del “cervello” laico il quale, dimostrando di essere capace di contraddirsi all’interno di sole 3 righe, mostra come la fatica del pensare sia ben lungi dall’essere anche solo abbozzata.
“Se un sacerdote dell’esperienza e dell’età di Negri è convinto con quelle parole del tutto fuori luogo di riuscire a scalfire l’indifferenza e a far breccia in chi quel “Messaggio” non ha fin qui colto o voluto cogliere, e allora ha proprio sbagliato
mestiere.”
Certo, a lei probabilmente non faranno breccia; l’importante è che lo facciano su coloro i quali, anche senza essere credenti o cristiani o cattolici, pensano che la vita sia qualcosa in più che spassarsela quaggiù.
Interessante ciò che dici: “…un precetto che, in nome di una qualche presunta verità assoluta, li dispensi dalla fatica del pensare per poi affidarsi a qualche ciarlatano.”
Infatti, se la Chiesa fosse una semplice dottrina, per il mio carattere troverei tutto l’ambaradan talmente ridicolo che piuttosto mi dedicherei a scrivere fantastiche novelle sui marziani.
Invece questa Chiesa non mi ha tolto la fatica di pensare, di leggere, di conoscere. Mi ha tolto piuttosto le catene che mi trattenevano dall’incontro con Cristo. Mi ha liberato da tante piccole e grandi schiavitù, perché ero ripiegato in me stesso, adoravo degli idoli, amavo le “cose” e “usavo” le persone che mi volevano bene.
E’ diventato d’improvviso tutto più normale, tutto più autentico.
E, in effetti, non è facile capire la profondità delle “scomode verità” espresse nella lettera di Negri, senza essersi prima liberati da tutto ciò che ci tiene prigionieri.
L’ha ribloggato su PADREAMORTHSANTO.
Massimo, non ho mai detto né pensato che siamo, me compreso, privi di debolezze: è la nostra natura a essere tale. Ed è altrettanto evidente che per andare avanti, per trovare il giusto equilibrio è necessario intravvedere un fine da perseguire. L’affidarsi in sé non è certo il problema, lo diventa quando ci affidiamo convinti di una valenza indimostrabile del nostro esistere.
L’idea di un Dio non mi sconvolge. La parola “Dio” è così carica di significati per la nostra cultura, che usarla senza mettere bene in chiaro che cosa si intenda per “Dio” rischia di rendere il ragionamento fuorviante.
“Dio” è innanzitutto un concetto umano che raffiguriamo ricorrendo soltanto a sembianze antropomorfe. È il nome che molti danno al credere che la nostra vita possa avere un senso trascendente. Discutere se Dio esista, è futile. La questione non è tanto se Dio esiste. La questione è se ci sentiamo chiamati in causa, oppure se siamo del tutto indifferenti alla trascendenza dell’esistenza umana. “Dio” rappresenta quella forza misteriosa alla quale si possono attribuire nomi diversi, che induce l’uomo alla ricerca della perfezione, della bellezza e del bene assoluti. “Dio” non è un’esistenza dichiarata, ma un processo che si compie durante il nostro breve divenire, che ognuno di noi può ed è libero di coniugare come meglio crede. Ciò che invece mi fa sorridere è immaginare un Dio attentissimo alle opere degli uomini, ai loro pensieri e perfino a quanto accade nelle stanze da letto. Insomma, siamo così fantasiosi da raffigurarci un Dio onnipotente, paterno, paziente, misericordioso, collerico, vendicativo e pure guardone.
Mario, a me fa invece sorridere l’idea di Dio come proiezione mentale dell’uomo. Non è credibile.
Massimo, hai ragione: l’ipotesi di Dio proiezione mentale dell’uomo non è credibile. Non lo è perché non è dimostrabile come del resto non lo sono tutte le ipotesi fino a quando non si dimostrano. Siamo nel campo delle ipotesi non in quello della verità. La verità possiede un suo statuto, una sua forma. La verità consiste nella capacità di negare tutte le sue negazioni.
Per questo da sempre sostengo che discutere se Dio esista, è futile.
Quale vantaggio offre convincersi di possedere la verità assoluta? Offre il vantaggio di sentirsi rassicurati, superiori a chi non la detiene. Soddisfa un bisogno primario dell’umano, quello dell’appartenenza.
Credere, non vuol dire sapere. Io non credo che due più due faccia quattro, perché lo so; ma credo che Dio si sia incarnato, perché non lo so se è vero. Tra sapere e credere non c’è coincidenza, non c’è sovrapposizione e quando si parla di “verità di fede”, si esprime una contraddizione in termini, che il nostro intelletto non è in grado di comprendere.
La fede non si presenta all’uomo con un’evidenza assoluta per cui egli è tenuto a credere per forza. La fede è una scelta libera, non s’impone. Quando si arriva a credere non si compie soltanto un percorso con la nostra intelligenza, c’è qualcos’altro che nella persona è necessario coinvolgere per giungere a quella decisione ed è la volontà, la volontà di aver fede, di credere, l’esigenza di affidarsi.
Blaise Pascal diceva: “C’è abbastanza luce per chi vuol vedere, ma ci sono anche abbastanza tenebre per chi non vuol vedere”. Indizi che ognuno può liberamente interpretare in un verso o nell’altro.