Ieri pomeriggio, mentre gli esperti più autorevoli davano il 90% e oltre di possibilità di vittoria elettorale a Hillary Clinton, la quale doveva quindi avere dinnanzi a sé una passeggiata o poco più, scrivevosu Facebook – dopo essermi consultato con amici molto esperti e competenti – che la partita era apertissima. Una tesi costatami anche l’affettuoso rimprovero di qualche amico («Giuliano porti sfiga, non vendere false speranze»), ma della quale ero certo tanto, appunto, da espormi a condividerla pubblicamente. Una tesi che tra l’altro, sempre su Facebook, in buona sostanza avevo messo in evidenza il 20 ottobre, anche in quella occasione preso in giro da alcuni, scrivendo – anche se è poco carino citarsi -:«I giochi sono apertissimi». Testuale. Perché ero sicuro del fatto che Trump sarebbe potuto arrivare alla Casa Bianca? Una certa passione per il rischio o per la scommessa? No, affatto.
La sua vittoria richiederà un enorme sforzo a molti analisti – direi a tutti, considerando che nessuno lo dava vincente – , ma la mia consapevolezza di questo probabile evento derivava infatti da un aspetto soltanto: l’erroneità dei sondaggi. Proprio così: da anni – si pensi al boom, totalmente imprevisto, del Movimento5Stelle o alla altrettanto imprevista Brexit – le rilevazioni demoscopiche falliscono clamorosamente. E questo per due ragioni. La prima, spesso non sono metodologicamente affidabili. La seconda, ma anche quando lo sono, debbono fare i conti con un fatto inatteso: risponde ai sondaggisti circa una persona su 10 (dieci anni fa era 1 su 5, un dimezzamento), molta gente si vergogna di dire il candidato che voterà (potete immaginarvi uno come Trump, deriso da mezzo mondo fino a ieri: da oggi, immagino, sarà un tantino più riverito), ma soprattutto circa il 70% degli americani diffida dei sondaggi.
Aggiungeteci il fatto che molti commentatori anche italiani di cose americane – da Rampini e Severgnini – vivono, anche se fanno tremendamente fatica ad ammetterlo, in un mondo dorato e tutto loro, lontano anni luce dall’America profonda che detesta il politicamente corretto (di cui loro, assieme a tanti altri, sono magnifici alfieri) e soprattutto da un Paese che, impoverendosi drammaticamente in questi anni, era ad altissimo rischio di quello che si chiama «voto di protesta». Da ultimo, non andavano sottovalutate né le folle oceaniche ai comizi di Trump (con la Clinton costretta a salire sui palchi degli amici cantanti, pur di avere molto pubblico) né il doppio di seguaci sui social da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca, espressione di una sorta di delocalizzazione del consenso che molti ancora non capiscono. Cari giornalisti perbene e cari sondaggisti, date retta, fatevi una bella vacanza. Ne avete bisogno.
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Che dicono i sondaggi sul 4 dicembre? #IoVotoNo
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L’ha ribloggato su Organone ha commentato:
Dal punto di vista della comunicazione, è significativo il fatto che Trump abbia vinto nonostante l’opposizione dell’establishment (anche di quello repubblicano, in parte) e dei cosiddetti poteri forti: dai media (appunto) ai mercati finanziari, ai presunti artisti e intellettuali.
Dal momento che la stessa cosa sta avvenendo in Europa, sarebbe forse interessante capire se si tratta “solo” dell’allargamento a dismisura della forbice tra il popolo e i burattinai, oppure se quei fenomeni un tempo classificati sotto la categoria di “ago ipodermico” stiano piuttosto producendo una crisi di rigetto – o almeno il sospetto che, se tutti appoggiano lo stesso candidato, questo non sia la persona più adatta a rappresentare l’elettore medio.
Si, ma non basta dire che “Rampini e Severgnini vivono lontano anni luce dall’America profonda che detesta il politicamente corretto (di cui loro, assieme a tanti altri, sono magnifici alfieri) e soprattutto da un Paese che, impoverendosi drammaticamente in questi anni, era ad altissimo rischio di quello che si chiama «voto di protesta»”. Altrimenti, i suddetti gireranno l’accusa a chi scrive, accusando di qualunquismo (gia’ c’e’ una risposta in questo senso su Italians). Se da un lato il programma “liberal” della Clinton mi fa tremare le vene ed i polsi, purtroppo dall’altro e’ vero che Trump non ha mai ricoperto una carica pubblica; inoltre il suo programma elettorale interno e quello sulle questioni internazionali non mi sembrava molto meglio di quello di Hillary.
Il filosofo statunitense E. Feser, cattolico e conservatore, disse tempo fa che la scelta per le presidenziali USA 2016 era tra “the idiot and the evil”. Non credo che avesse tutti i torti.
Ma come fai ad aver già scritto il pezzo! Io devo ancora riprendermi! Sui sondaggisti c’ho una cosa che mi sta qui che pregusto di scrivere da un bel pezzo… Sono mesi che somatizzo per il modo in cui Fivethirtyeight mi ha elargito condiscendente superiorità…