Ieri mattina l’Italia intera si è svegliata con una notizia – quella della vittoria, nel primo duello tv Clinton-Trump, di Hillary – che i principali media italiani, con titoli sprizzanti entusiasmo, hanno presentato quale verità indubitabile, quasi un dogma. Ebbene, a prescindere da come la si pensi sulle elezioni presidenziali, quei titoloni erano, molto semplicemente, falsi. Non perché la signora Clinton abbia in realtà fatto figuracce o abbia perso il match, che invece ha affrontato in modo brillante, ma perché l’esito del confronto televisivo è stato diverso dal tonfo di Trump, somigliando invece ad un pareggio. Di «sostanziale pareggio» ha difatti parlato, per esempio, Federico Rampini di Repubblica, valido giornalista ma tutto fuorché un simpatizzante del candidato repubblicano, e lo stesso New York Times, smaccatamente e da alcune ore dichiaratamente pro-Hillary, ha offerto un resoconto tutto sommato bilanciato dell’attesissimo duello tv.
Non solo: nelle ore successive, quando secondo molti giornalisti italiani Donald Trump sarebbe dovuto essere tra la disperazione e il pianto, sono stati diffusi sondaggi di provenienza non secondaria – Time, CNBC, Fortune solo per fare tre nomi – e dall’esito opposto: una vittoria del magnate repubblicano. Proprio così: secondo molti americani, anche se non secondo tutti, ovvio, a spuntarla nel dibattito da noi presentato come la sua Caporetto, è stato lui, l’Impresentabile. Ora, che significa tutto ciò? Che Trump sarà il nuovo Presidente Usa? No. E nessuno, tanto meno il sottoscritto, osa avventurarsi in pronostici simili. Tuttavia un paio di considerazioni è comunque possibile svolgerle. La prima: esiste uno spaventoso servilismo dei media italiani al Pensiero Unico. Sai che scoperta, potrebbe ribattere qualcuno; in effetti non è certo uno scoop. Che però i nostri Corriere e Repubblica tendano a deformare la realtà in chiave pro-Hillary più degli stessi giornali americani che la sostengono, è significativo e preoccupante al tempo stesso.
Soprattutto considerando che stiamo parlando degli stessi giornali che, da qui al 4 dicembre prossimo, data del referendum costituzionale nonché appuntamento-chiave del Governo Renzi, dovrebbero fornire un’informazione equilibrata. Se il buongiorno si vede dal mattino, e se pensiamo che gli Usa sono assai favorevoli alla riforma Boschi-Verdini, stiamo freschi. Una seconda considerazione credo utile, tornando alle elezioni Usa, è questa: Hillary non entusiasma (quasi) nessuno, incluse fette importanti sia dell’elettorato progressista sia dei suoi simpatizzanti più celebri, da Susan Sarandon, («Molto pericolosa, è un’interventista accanita che non ha imparato nulla dall’Iraq. E’ una donna che ha commesso cose orribili») a Michael Moore («Accettiamo la realtà dei fatti: il nostro problema principale non è Trump, è Hillary […] quasi il 70% degli elettori pensa che sia disonesta e inaffidabile. Rappresentante della vecchia politica, che non crede a niente se non a farsi eleggere»).
Certo, la signora Clinton piace ai Bush, specie a George H.W. Bush, ma non sono sicuro sia una bella cosa. Eppure da noi già la incensano come una dea; figurarsi se Hillary venisse eletta veramente: avremmo conduttori televisivi, editorialisti ed opinionisti delle principali testate in estasi permanente, i suoi interventi sarebbero presentati come apparizioni miracolose, con tanto di musichette strappalacrime, e le sue parole come Vangelo 2.0. E poco importa che si stia parlando di una donna in politica da una vita – una specie di Mastella d’Oltreoceano -, guerrafondaia, abortista e con un passato costellato da episodi inquietanti (significativo, in tal senso, il video in cui sghignazza della sorte toccata a Gheddafi, linciato da una folla di barbari): l’imperativo dei pennivendoli tricolore è parlarne bene, a prescindere. Fortuna che si tratta degli stessi cervelloni che, anni fa, s’interrogavano ironicamente sull’esistenza degli elettori di Berlusconi, prima che le loro sciocchezze fossero travolte alle urne. La professionalità, evidentemente, è la stessa.
Il paradigma di questo giornalismo è la Botteri, il cui tono di voce, rotta dall’emozione quando parla di Barakhillary e dallo sdegno quando parla di Trump, è più eloquente delle parole stesse che usa. Nel suo servizio sul dibattito piazza l’intervista ad una passante, scelta a caso tra le decine di milioni di elettori che voteranno in novembre, che “Ho sempre votato repubblicano ma adesso voterò Hillary”.
Il problema dei sondaggi di Time, CNBC, Fortune e degli altri che hanno assegnato la vittoria a Trump è che la loro attendibilità è prossima allo zero, malgrado la provenienza prestigiosa. Si tratta infatti di sondaggi online, accessibili a chiunque senza controlli. Abbiamo solo due sondaggi scientifici post-dibattito, della CNN e della Public Policy Polling, basati su un campione il più possibile rappresentativo della popolazione, ed entrambi danno vincente la Clinton (62-27 la CNN e 51-40 la PPP). Nemmeno questi sondaggi sono del tutto attendibili, a causa della rapidità con cui sono stati condotti (il sondaggio della CNN per esempio aveva un eccesso di intervistati democratici); ma storicamente il sondaggio CNN è correlato positivamente con i movimenti dei sondaggi tradizionali nei giorni successivi ai dibattiti. Tutto ciò, ovviamente, non ha conseguenze automatiche sull’esito finale della gara presidenziale.
Da quando ci sono, i “dibbbbbbbbattiti telivisivi” sono sempre “vinti trionfalmente” dal candidato democratico, chiunque esso sia (perfino Dukakis!), a detta di tutti i commentatori politici, notoriamente imparziali…
Mi chiedo che senso ha raccontare bestialità a noi se poi noi non votiamo, se non possiamo incidere in nessun modo su quello che succede lì? Poi magari ci svegliamo il giorno dell’elezione con Trump presidente…e che figura ci fanno?
Certo che noi non votiamo…noi siamo solo i coloni!
Un noto filosofo cattolico statunitense, Edward Feser, l’attuale confronto e’ “the evil party vs the stupid party”.
La demonizzazione di Trump (e il conseguente sostegno alla politica di Illary Clinton), è ormai dilagante anche sui più scalcagnati media cattolici.
Nell’ultimo numero di Gente Veneta (del 23 settembre) a pagina 4 e 5 si parla di servizio sanitario nazionale col prof.Ivan Cavicchi, tante banalità, tutto abbastanza normale… ma ecco che a pag.5 in alto a destra compare la foto del candidato repubblicano alla casa bianca col titolo “Con Trump no a una sanità migliore”, sottotitolo: “Cavicchi: negli USA si corre un rischio”… e via una serie di sciocchezze sull’ Obamacare che rischia di naufragare.
Questo signore (al quale hanno persino regalato una laurea “Honoris causa” in medicina e chirurgia) è docente di sociologia dell’organizzazione sanitaria aTor Vergata, è stato direttore generale di Farmindustria e consulente di vari servizi sanitari toscani; tiene perfino un blog personale su IlFattoQuotidiano.it, e sull’ultimo post esordisce così:
“Il fertility day è l’altra faccia del family day, una sorta di amalgama tra ideologia e sanità malamente mescolato. Con la prima si sottolineano i valori del matrimonio tradizionale e con la seconda quelli delle sue conseguenze naturali, i figli. In sostanza il fertility day è il personale contributo ideologico-sanitario del ministro Lorenzin a una battaglia cattolica, soprattutto, per la difesa di una rigorosa ortodossia sociale che includa alcuni ed escluda altri.”
Non c’è che dire, l’interlocutore giusto per un giornale diocesano.