cicciotelle

 

 

 

 

 

 

 

 

Si è conclusa con il licenziamento del direttore, la polemica divampata dopo che Il Resto del Carlino aveva confezionato un titolo di quelli che non passano inosservati («Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico») per commentare la quasi impresa delle nostre atlete olimpiche del tiro con l’arco. Al di là della scelta dell’editore Andrea Riffeser Monti – che a molti sembrerà sacrosanta -, non si può tuttavia non leggere, in particolare nell’indignazione del popolo della Rete, che non aspettava altro che vedere rotolare una testa, una buona dose di ipocrisia. Suvvia: chi, quanti dei furiosi per quel titolo, fino a ieri conoscevano Guendalina Sartori, Claudia Mandia, e Lucilla Boari? E quanti, soprattutto, sarebbero disposti a indicare la loro come una forma fisica esemplare?

Attenzione: qui non si vuole ridimensionare la gravità del titolaccio né la sua insensatezza (da quando la bilancia ha a che vedere col tiro con l’arco?). Quello su cui vuole porre l’accento è che probabilmente, fra i neoavvocati delle nostre atlete, non solo molti si sono attivati più o meno a sproposito o per mera tendenza tribunizia, ma in palese e totale incoerenza con l’atteggiamento divertito riservato a battute sulla forma fisica ieri dei Ronaldo oggi degli Higuaín (la sua panzetta sta facendo sbellicare il web senza, mi pare, che i guardiani della moralità fiatino), per stare allo sport, o dei Giuliano Ferrara o dei Mario Adinolfi. Cos’è: le donne sovrappeso godono di una immunità particolare? Un «grassone» detto ad un maschio è satira mentre quel «cicciottelle» è il termine più cattivo al mondo? Non capisco e temo siano in molti a non capire questo strabismo.

A scanso d’equivoci ribadisco che lo scopo di queste poche righe non è assolvere o condannare qualcuno, ma solo di criticare qualcosa, e cioè un atteggiamento imperdonabilmente equivoco tale per cui sarebbero il sesso e/o l’appartenenza politica di un soggetto a decretarne o meno la possibilità di sfotterlo; e pregherei tutti quanti di non arrampicarsi sugli specchi perché le cose stanno esattamente così. Il che è molto grave non soltanto perché mette in evidenza come non si stia capendo il rilievo sociale di quella che potremmo chiamare «obesofobia» – fenomeno ripugnante e, anche se nessuno ne parla, molto più esteso e grave dell’«omofobia» -, ma soprattutto perché fa capire come non si sia ancora compreso appieno il significato del termine rispetto. Un rispetto che o tutela tutti da ironie escrementizie e ginnasiali, oppure non è. Tertium non datur.

Giuliano Guzzo