In principio fu, nel 2013, il North Dakota mentre ora è il turno della Louisiana, che – con un provvedimento da poco approvato dal suo Senato – è divenuto il secondo Stato a vietare l’aborto in caso di anomalie genetiche, tra cui anche la Sindrome di Down. La notizia, che inquieterà non poco il mondo progressista, è certamente significativa per tante ragioni. Tanto per cominciare perché proviene da uno Stato che non più tardi di qualche settimana fa aveva già approvato il divieto dell’aborto per smembramento, abominevole procedura – conosciuta formalmente come dilatazione ed estrazione, o “D & E” – con la quale il corpo del nascituro viene letteralmente fatto a pezzi per poi essere estratto dal grembo della madre: segno che sul tema del diritto alla vita, se si vuole, si può fare e fare molto sul piano politico.
Chissà che quando la sbornia diritticivilista europea si placherà non si possa pure qui, da noi, riaprire un dibattito serio in chiave antiabortista. Una seconda considerazione utile sul nuovo provvedimento approvato dalla Louisiana – che non esito a definire di civiltà – può essere quella di far notare come, ponendosi a tutela dei bambini affetti dalla Sindrome di Down, questa legge difenda esseri umani il cui diritto alla vita è oggi minacciato in più parti del mondo: sia in quello occidentale, dove l’aborto eugenetico è prassi diffusa, sia in quello dell’ISIS i cui miliziani pare siano soliti «uccidere sui territori amministrati i fanciulli down o nati con malformazioni fisiche e psichiche» (Il Giornale, 15.12.2015, p.13); in questo particolare versante, insomma, estremismo islamico e conformismo edonista si somigliano, è bello che vi sia qualche Stato che inizia a tracciare la strada di un cambiamento.
Terza e ultima considerazione sulla svolta di North Dakota e Louisiana: la riscoperta dei diritti. Può sembrare paradossale, ma è proprio nel momento in cui l’attenzione al tema dei diritti umani sembra massima che i diritti del figlio concepito – senza dubbio il soggetto più debole in assoluto – toccano la loro più bassa negazione, essendo invece sempre più riconosciuto e addirittura celebrato il diritto di eliminare un figlio (aborto), di fabbricarlo in laboratorio (fecondazione in vitro), di cederlo dietro compenso (“maternità surrogata”), di privarlo del diritto di un padre e una madre (adozioni gay). Un paradosso – quello della negazione, ai giorni nostri e apparentemente civilizzati, dei diritti dell’essere umano concepito – troppo grave per essere tollerato per sempre. Ebbene, è significativo che degli Stati americani ricordati abbiano deciso, ponendosi in controtendenza, di riconoscere il diritto alla vita dei bambini Down. Forse sono i primi bagliori di una nuova, quanto mai attesa alba.
L’ha ribloggato su Betania's Bar.
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L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
Un’altra bellissima notizia, a favore della vita. Fa’ sempre bene leggerne!
Vietare l’aborto nel caso di anomalie genetiche, tra cui la sindrome di Down è, secondo me, un percorso insensato e facilmente aggirabile. Le strade sono soltanto due: o si giunge a vietare l’aborto o è meglio evitare inutili distinguo. Oggi, con un po’ di attenzione, come ho già scritto in un altro intervento, è piuttosto semplice evitarlo.
Quando poi si esagera come hanno fatto gli americani e si consente l’aborto entro la 24esima settimana di gestazione, per forza di cose si è poi costretti a fare retromarcia e a parlare di smembramento.
In Italia l’interruzione di gravidanza è consentita entro la12esima settimana di gestazione. In quel caso il feto misura in media 5 cm e pesa 10 grammi. Alla 24esima settimana le cose sono molto diverse: si arriva in media a 25 cm di lunghezza e a un peso medio di 540 gr. Senza dimenticare che dopo la 24esima settimana, la TIN, terapia intensiva neonatale, offre oggi buone probabilità di sopravvivenza in caso di parto prematuro.
Resta da capire, ed è un vero arcano, il perché una donna che sa di voler rinunciare alla gravidanza non faccia prevenzione e aspetti tanto tempo per decidersi.