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Leggo titoloni sulla morte di Giorgio Albertazzi (1923 –2016), il grandissimo del nostro teatro ieri scomparso e penso che come attore, in realtà, fosse molto più bravo di quanto coloro che ora ne piangono la morte si rendano conto. Albertazzi ha difatti fatto credere a molti d’essere attore di teatro, ma fece anche cinema («Ho fatto 37 film», fece presente ad un giornalista de L’Espresso, che evidentemente lo ignorava); ha recitato nell’Italia repubblicana e antifascista ma non rinnegò mai l’esperienza giovanile repubblichina («Io non ho negato e neanche mi sono pentito perché odio il pentitismo»); ha detto di essere favorevole all’eutanasia ma quando l’amata  Anna  Proclemer (1923 –2013) gliela chiese negò («Mi aveva chiesto ripetutamente di aiutarla a farla finita, ma mi sono accorto che non potevo. Ho cercato di starle vicino in altro modo»), ha saputo farsi amare nell’assai libertino e progressista mondo dello spettacolo arrivando pure ad illudere, con un bacio, Luchino Visconti (1906–1976), ma non ha mai rinunciato a posizioni che oggi sarebbero tacciate di sessismo e omofobia («Le cosce delle donne sono la prova dell’esistenza di Dio»). Tutti, insomma, dovrebbero un ringraziamento a quest’uomo, che unì Arte e Vita al punto da non far capire bene – salvo a chi sapesse seguirlo con attenzione – dove, per lui, finisse la prima e iniziasse la seconda. Un attore unico.

Giuliano Guzzo