La foto di Tess Asplund, una donna afrosvedese che sola, a testa e pugno alti, ha contro-manifestato sfilando in mezzo ad un gruppo di estrema destra del partito Nordiska motståndsrörelsen, ha fatto e sta facendo il giro del mondo. Beninteso: alla signora non è stato torto un capello, ma il suo gesto è divenuto simbolo di enorme coraggio. Approfitto quindi della ritrovata attenzione sul tema del coraggio femminile per ricordare a tutti la vicenda – molti la conoscono già, ma sono molti di più coloro che la ignorano – di un’altra donna a cui non solo il coraggio, ma neppure la forza manca. Trattasi però di una donna il cui calvario, stranamente, non sembra godere di pari attenzione mediatica: parlo della pakistana Asia Noreen Bibi.
In breve, la sua vita è stata sconvolta per sempre nel giugno 2009 quando, accusata d’aver bestemmiato il nome di Maometto, è stata incarcerata e sottoposta processo. L’accaduto ha sollevato, a livello locale, un certo dibattito ma non sembra purtroppo aver portato fortuna a chi, in qualche modo, si è preso a cuore le sorti della donna: il governatore del Punjab, Salmaan Taseer (1944-2011), contrario alla legge in forza della quale Asia rischia la vita, è stato eliminato da una sua guardia del corpo al soldo dei Talebani, e non è andata meglio Ministro per le Minoranze religiose, il cattolico Shahbaz Bhatti (1968-2011), assassinato pure lui da estremisti islamici. E l’Occidente dei “diritti” e dell’esportazione della “democrazia”? Se non silenzio tombale, finora è stato poco più.
Ciononostante Asia Bibi – da quanto è stato possibile capire – pur essendo assai pesantemente provata dalla prigionia (che dura ormai da oltre 2.500 giorni), non si è mai data per vinta. E dire che sarebbe stato più che comprensibile un suo atteggiamento di rassegnazione; per tanti motivi, a partire dal processo-farsa cui è stata sottoposta e che si è concluso con condanna a morte sotto la vigilanza palesemente intimidatoria, nell’aula di tribunale, di ben venti mullah, che si sono esibiti con insulti e inviti inquietanti come «Blasfemi!» e «Uccidetela!». Senza contare la violazione di tutte garanzie della donna, lasciata senza possibilità di difendersi da un’accusa – quella di blasfemia – che fra l’altro già contrasta col fondamentale diritto alla libertà religiosa, sancito anche dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo.
Ora, benché lo scorso giugno la Corte Suprema abbia sospeso la pena capitale, rimandando il processo ad un tribunale, la tensione è alle stelle: nei giorni scorsi oltre 30.000 persone ha cercato di raggiungere la sede del Parlamento al grido dì «Impiccate Asia Bibi!». Ci si potrebbe a questo punto chiedere come mai nessuno, salvo alcune lodevoli eccezioni (in Italia si distingue il quotidiano Avvenire), si sia in Occidente preso a cuore il destino di questa donna perseguitata ma che non intende rassegnarsi (ha pure indirizzato una lettera a Papa Francesco implorando preghiere: «Prega per me, per la mia salvezza e per la mia libertà. In questo momento posso solo affidarmi a Dio, che è l’Onnipotente, Colui che può tutto per me»). Forse perché il Pakistan è distante? O forse perché si tratta di una donna cristiana?
Il dubbio che l’ipotesi più verosimile sia la seconda è molto forte. Ma è ancora più forte la gratitudine per questa donna che, snobbata o quasi dai media e dal mondo social – dove passeggiare in mezzo ad un corteo di estremisti di destra, circondati da giornalisti e fotografi, sembra contare più di una detenzione ingiusta e inumana, in una cella senza finestre, di oltre 2500 giorni – continua nel silenzio una lotta che sa di testimonianza. Verso i cinque figli e la sua famiglia, anzitutto; ma pure verso di noi, per tutte le volte che ci lasciamo andare alla convinzione – falsa eppure molto diffusa – che i veri eroi non esistano più e che certi pesi siano impossibili da portare quando invece, in un remoto angolo del Pakistan, fra gente accecata dall’odio, il coraggio di una donna sta scrivendo una pagina grandiosa.
Bellissimo. Grazie.
…il coraggio di una mamma…