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Forse era incredulità, forse tristezza o forse impotenza: non saprei dire. Di certo è una sensazione singolare, che in tanti anni trentini non avevo mai provato, quella di vedere e sapere la Torre Civica in fiamme. Costruita prima dell’anno Mille e innalzata in più riprese – l’ultima delle quali entro il 1495, anno in cui il bavarese Albrecht Dürer (1471–1528) la ritrasse così com’è – rappresenta, insieme al Duomo, il simbolo della città che paternamente sorveglia dall’alto dei suoi oltre quaranta metri. Proprio per questo, proprio per la sua imponenza mi sembrava invincibile; tanto più che era stata restaurata da poco, coi lavori terminati a fine 2011. Era dunque uno dei gioielli del centro storico, prima che l’incendio di ieri, con ogni probabilità causato da un corto circuito, la trasformasse in un’enorme torcia.

In realtà Trento, nel corso della sua storia, è stata devastata almeno quattro volte dagli incendi – nel 1126, nel 1226, nel 1478 e nel 1757 -, ma per ovvie ragioni nessuno, ieri, se n’è ricordato mentre osservava i vigili del fuoco duellare con le fiamme. All’esterno la Torre non appare ora totalmente sfigurata, tuttavia i segni dell’incendio, specialmente nella parte superiore, ci sono tutti. Così come c’è la malinconia per il gigante ferito, anche se – come le autorità si sono affrettate a dichiarare – tutto verrà sistemato. Il ricordo dell’accaduto, che fortunatamente non ha avuto vittime, è infatti ancora troppo vivo nella mente dei trentini per immaginare un rientro alla normalità impossibile fino a che l’orologio della Torre segnerà le 10:50, orario in cui ieri, pochi minuti dopo l’inizio dell’incendio, il gigante ha smesso d’indicare l’ora, probabilmente temendo fosse arrivata la propria.

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